La legge sulla responsabilità civile dei magistrati è contraria al diritto dell’UE

Redazione 25/11/11
È contraria al diritto dell’Unione la legge italiana sulla responsabilità civile dei magistrati per i danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto medesimo. L’esclusione ovvero la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o di colpa grave è contraria al principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con una sentenza (causa C-379/10, 24 novembre 2011)  che critica fortemente la legge italiana 117/88 sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati.

Il diritto dell’Unione impone infatti agli Stati membri di risarcire i danni arrecati ai singoli a seguito di violazioni del diritto dell’Unione ad essi imputabili, a prescindere dall’organo da cui tale danno sia scaturito – principio che trova parimenti applicazione nel caso in cui la violazione sia commessa dal potere giudiziario.

La necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione conferisce loro implica che la responsabilità dello Stato possa sorgere per violazione del diritto dell’Unione risultante dall’interpretazione di norme di diritto da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

Nel caso di specie, la Commissione Ue, che ha promosso il contenzioso, sosteneva che la legge italiana sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati (Legge 13 aprile 1988, n. 117) fosse incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia relativa alla responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

La Commissione contestava all’Italia, da un lato, di avere escluso qualsiasi responsabilità dello Stato per i danni causati a singoli qualora la violazione del diritto dell’Unione derivi da un’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuata da un siffatto organo e, dall’altro, di aver limitato, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, la possibilità di invocare tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.

La Corte rileva anzitutto che la legge italiana esclude in via generale la responsabilità dello Stato nei settori dell’interpretazione del diritto e della valutazione di fatti e di prove.

Come la Corte ha già avuto modo di affermare in pronunce precedenti, il diritto dell’Unione osta ad una esclusione generale della responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado qualora tale violazione risulti dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove operata dall’organo medesimo.

In particolare, la Corte rileva che l’Italia non ha dimostrato che la normativa italiana venga interpretata dai giudici nazionali nel senso di porre un semplice limite alla responsabilità dello Stato e non nel senso di escluderla.

La Corte precisa che uno Stato membro è tenuto al risarcimento dei danni arrecati ai singoli per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi in presenza di tre condizioni: la norma giuridica violata dev’essere preordinata a conferire diritti ai singoli, la violazione dev’essere sufficientemente caratterizzata e tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subìto dal soggetto leso deve sussistere un nesso causale diretto.

La responsabilità dello Stato per i danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado è disciplinata dalle stesse condizioni. In tal senso, una «violazione sufficientemente caratterizzata della norma di diritto» si realizza quando il giudice nazionale ha violato il diritto vigente in maniera manifesta. Il diritto nazionale può precisare la natura o il grado di una violazione che implichi la responsabilità dello Stato ma non può, in nessun caso, imporre requisiti più rigorosi.

I giudici europei rilevano come la Commissione abbia fornito sufficienti elementi volti a provare che la condizione della «colpa grave», prevista dalla legge italiana, come interpretata dalla Corte di Cassazione italiana, si risolva nell’imporre requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di «violazione manifesta del diritto vigente». Per contro, l’Italia non è stata in grado di provare che l’interpretazione di tale legge ad opera dei giudici italiani sia conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia.

In conclusione, la Corte ossercva che la normativa italiana, laddove esclude qualsiasi responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado, qualora tale violazione derivi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo, e laddove limita tale responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave, è in contrasto con il principio generale di responsabilità degli Stati membri per la violazione del diritto dell’Unione.

Ora l’Italia dovrà uniformarsi alla sentenza, pena l’applicazione di sanzioni economiche da parte dell’Unione Europea.

Qui il testo integrale della sentenza.

Redazione

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