Investigazioni scientifiche: biologia forense, genetica forense e catena di custodia

Eugenio D Orio 19/11/16
L’attuale status quo della valutazione probatoria delle evidenze scientifiche, nelle fattispecie biologiche prima e genetiche poi (due settori che si integrano e si coadiuvano, ma non sono la medesima cosa), vede tutta l’attenzione degli operatori sia scientifici sia forensi concentrata totalmente sull’aspetto genetico delle fonti di prova. Ciò avviene per ignoranza colposa della delicata materia con la quale ci si interfaccia, la quale è, per molti versi, nuova anche per gli stessi specialisti del settore, che correntemente devono aggiornarsi.

La differenza tra biologia forense e genetica forense

E’ di basilare importanza, per ben chiarire ai professionisti del foro (Magistrati giudicanti, requirenti e avvocati), esplicitare la netta differenza che vige tra le discipline della biologia forense e quella della genetica forense.

La biologia forense

Per biologia forense si intende una branca specialistica del settore scientifico applicato all’ambito investigative-forense, la quale vede il suo inizio con il primo sopralluogo stesso da parte degli operatori della PG deputati sul locus commissi delicti. Nello specifico attiene a tutti i reperti potenzialmente con fonti di prova biologica (esempio maglia della vittima intrisa di materiale verosimilmente ematico, tracce visibili o latenti nelle immediate pertinenze della zona sottoposta ad indagine, ecc). La biologia forense racchiude in sé gli aspetti, importantissimi poi nella successive fase processuale, della morfologia, dimensione e distribuzione delle diverse tracce biologiche.

A ciò si aggiunge poi l’aspetto dell’indagine tissutale, grazie alla quale si può con certezza identificare da quale tipo di tessuto provenga una determinate traccia biologica (anche questo molto importante a livello processuale, vedasi ad esempio nei  casi di violenza sessuale). Questi aspetti sono di basilare importanza ai fini della scoperta della verità in quanto, dal loro esame in combinato, è deducibile la dinamica dell’atto delittuoso oggetto di indagine.

La vera e propria conditio sine qua non affinché un dato scientifico sia poi assumibile, in fase di contraddittorio, come prova da parte del giudicante, è la “documentazione della catena di custodia”. Questa comprende la documentazione foto e/o videografica di tutti gli step e i passaggi che la determinata fonte di prova biologica oggetto di indagine ha subito dalla fase iniziale, ossia dal primo sopralluogo (ricerca ed assunzione della fonte di prova), sino all’arrivo in laboratorio forense per gli accertamenti di rito.

E’ fondamentale che, dal momento della ricerca e dell’assunzione della fonte di prova oggetto di accertamenti la stessa  sia in ogni momento rintracciabile e verificabile e ciò  per un duplice motivo. In primis per  assicurare  la bontà del lavoro svolto dagli operatori e accertare che si siano attenuti ai protocolli di settore imposti, fornendo, anche per il  futuro la prova  della mancanza di contaminazione operativa.

Secondariamente  il rigore del controllo a monte da parte di operatori paralleli agli assuntori di tracce  darà la possibilità a tutte le future parti processuali, ivi compresa la difesa se vi sara’ un imputato, di poter verificare quanto posto in essere in fasi che, per logistica dei fatti, non saranno più ripetibili : è ovvio, infatti, che è impossibile ripetere un atto di assicurazione di una fonte di prova sul locus commissi delicti!

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La documentazione della catena di custodia

La documentazione della catena di custodia, in senso estensivo, rientra in quanto postulato dall’art. 360 c.p.p. sugli accertamenti tecnici irripetibili, in quanto, anche se non saranno  logisticamente ripetibili le fasi suddescritte, sarà sempre possibile per tutte le parti verificare quanto posto in essere grazie ai loro consulenti, i quali dovranno, ancor prima di esaminare l’accertamento di tipo laboratoristico, esaminare quanto accaduto alla fonte di prova biologica nelle fasi precedenti, in quanto queste rappresentano “step limitanti”.

La catena di custodia delle fonti di prova scientifiche

La catena di custodia delle fonti di prova scientifiche non è altro che una dettagliatissima ed imposta (per protocolli scientifici) modalità di documentazione degli atti posti in essere, i quali sono tutti “step limitanti”, ossia se solo uno di questi non e’ a dovere documentato, o vi si ritrova un errore procedurale anche in uno solo di questi, tutti gli atti seguenti non saranno ammissibili né scientificamente né dal punto di vista dell’ammissibilità probatorio-forense, costituendo queste vie parallele garanzia di verità processuale.

La genetica forense

Diversamente, per genetica forense si intende quella parte della biologia forense, la quale inizia e termina nei laboratori specializzati, il cui compito e’ quello di estrarre DNA dalle cellule biologiche costituenti la fonte di prova giunta in laboratorio dal locus commissi deliciti, ed esaminarle. Il fine cui tende la genetica forense e’ “nominale” ossia e’ volta ad identificare in maniera precisa ed univoca il soggetto che ha rilasciato la traccia biologica in esame.

I limiti della genetica forense

Tuttavia la genetica forense ha dei limiti che ben vanno chiariti: ossia nessuna informazione puo’ dare in merito alla tempistica del rilascio, né alla modalità del rilascio. Ecco perché il nuovo pensiero in dottrina del Giudice Gennaro Francione il quale ritiene ritiene la valutazione del solo DNA un mero “elemento statico”, che va integrato con prove forti aliunde non garantite dall’attuale sistema indiziario di per sé antipopperiano e ad altissimo rischio di errore. A ciò si deve  porre rimedio già nell’interna corporis della traccia grazie alla biologia forense, tramite la valutazione più ampia possibile dei fattori distributivi, quantitativi e dimensionali, oltre che tissutali della traccia biologia in esame. Da qui i nuovi principi di quella che Francione definisce “Criminologia dinamica”.

L’approccio integrato

Per tali vie l’approccio integrato delle due discipline della biologia forense e della genetica forense può offrire sia ai giudicanti che ai requirenti  l’optimum del supporto scientifico. Soffermandosi solo su una di queste due discipline si rischia di parzializzare troppo le informazioni scientifico-forensi, col pericolo  di valutare in maniera parziale e sinistra la dinamica di un dato atto delittuoso oggetto di indagine; in altri termini potenzialmente, con la visione parzializzata del dato scientifico, si rischia di incorrere in gravi errori giudiziari!

Se attualmente, nei contraddittori, regna il focus sull’aspetto genetico, bisogna giustamente far sì che questa attenzione si sposti dapprima sulla catena di custodia della fonte di prova biologica: se questa non è conforme ai protocolli nessuna valenza avranno gli accertamenti genetici successivi. E’ poi doveroso integrare le conoscenze provenienti dalle due discipline della biologia forense e della genetica forense con un processo moderno che si svolga con prove   e non per indizi, i quali secondo l’insegnamento di Popper, servono solo  a creare congetture bisognevoli poi di prove  forti  tali che davanti a qualunque sperimentatore si raggiunga lo stesso risultato.

Da questo sincretismo che coniuga rigorosamente scienza strictu sensu ed epistemologia giudiziaria  si può arrivare finalmente alla celebrazione del Giusto processo dove  le investigazioni tipiche degli inquirenti, assicurando una reale parità tra accusa e difesa,   si integrano con il dovuto controllo di ogni momento processuale con i dati scientifici  a disposizione a partire dal momento della loro assunzione continuando nella catena di custodia. Ciò in virtù del  novellato art. 111 della Costituzione che attende ancora una realizzazione concreta.

Eugenio D Orio

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