“Spaghetti Hacker” è, sostanzialmente, due cose: una testimonianza dell’arrivo dell’informatica in Italia negli anni Ottanta e delle attività degli hacker nostrani, e un resoconto delle questioni giudiziarie che hanno interessato il nostro Paese a seguito dell’apparizione del fenomeno informatico.
La prima parte è molto dettagliata e, in alcuni punti, dal piacevole sapore nostalgico. Si ricorda, ad esempio, l’arrivo in Italia dei primi computer, le limitazioni, soprattutto di memoria e di interfaccia, che avevano i vari modelli Commodore e Spectrum ma anche l’ingegno che era necessario per programmarli e la costante attenzione che l’utente doveva mantenere per sperimentare nuove vie e nuove funzioni, un’attenzione (e curiosità) che, spesso, l’intuitività dei sistemi moderni fa dimenticare e che è, al contrario, l’essenza del vero hacking.
Chi ha vissuto quegli anni ricorderà bene gran parte degli accadimenti narrati: i primi videogiochi, le console e la “sfida” Atari 2600 vs. Intellivision, il mercato diviso tra Sinclair e Commodore, la rivoluzione portata dall’arrivo dell’Amiga, dai primi compatibili Ms-Dos e dalla Apple, le notti passate a digitare listati presi da riviste che iniziavano a diffondersi nelle edicole e la nascita delle prime BBS.
Per spostarsi dall’analisi tecnologica di quegli anni alle questioni giuridiche, il passo è davvero breve e naturale: gli argomenti, nelle pagine del libro, diventano il commercio di dischetti su larga scala (anche nei negozi di informatica) quando ancora la disciplina sul software non era stata emanata, le protezioni da copia che venivano aggirate o modificate, la normativa degli anni Novanta in tema di duplicazione abusiva (quel decreto legislativo n. 518 del 1992 che portò una vera e propria rivoluzione nel settore) e di crimini informatici (con la legge n. 547 del 1993 che introdusse per la prima volta il concetto di computer crime) e il conseguente, improvviso cambiamento del panorama anche amatoriale italiano.
A questo punto, per il giurista (ma non solo), l’analisi si fa davvero interessante.
Monti e Chiccarelli ripercorrono, ad esempio (con l’ausilio di documentazione processuale dell’epoca) le prime indagini su larga scala avvenute in Italia, i cosiddetti primi “crackdown”, delineando anche le metodologie d’indagine, gli errori commessi, l’evoluzione della strategia (spesso di repressione) e la diffusione, nelle azioni del nostro legislatore, di un timore diffuso per le tecnologie informatiche che si trasmetterà sino ai giorni nostri.
Il presente, notano gli Autori, è sempre legato a doppio filo al passato, e per comprendere oggi a fondo il quadro normativo che interessa le tecnologie è essenziale conoscere cosa è accaduto prima, quale è stato l’approccio del nostro legislatore e dei nostri politici al fenomeno tecnologico. Questo volume, senza dubbio, lo descrive diffusamente.
Le attività di hacking, i videotel e le BBS, i primi server Unix in Germania e il commercio delle password sono tutti accadimenti che, nelle pagine, sono spesso descritti in prima persona dalle significative testimonianze di chi allora c’era, e operava, nel nascente underground informatico italiano. Interessante, allora, la descrizione della nascita dei primi hackmeeting ma anche l’organizzazione di incontri sperimentali, e molto accesi, tra magistrati e avvocati, le e-zine italiane di hacking che si contrapponevano alle famosissime Phrack! e 2600, gli incontri di iscritti a mailing list e associazioni telematiche ma anche la delicatezza (e spettacolarizzazione) delle prime indagini sul tema della pedopornografia, dei primi arresti e del cambiamento che l’avvento di Internet ha portato anche in Italia.
Ogni volta che rileggo questo libro, rimane l’agrodolce in bocca. Il dolce è il ricordo di quei tempi e di quelle tecnologie, la sensazione più aspra è invece il ricordo della caccia alle streghe, degli errori giudiziari e delle indagini spesso disarticolate di quegli anni, della paura per la tecnologia, per il “mad scientist”, che anche in Italia ha fatto non poche vittime.
Una lettura ancora istruttiva (e costruttiva), insomma, per giovani e meno giovani.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento