Elezioni Politiche 2013, voto all’estero: poche garanzie sulla segretezza

Letizia Pieri 20/02/13
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Le elezioni politiche sono alle porte e già si ripresenta il dibattito sulla necessaria riforma elettorale. La riforma sembra destinata ad allargarsi anche al voto estero. La predisposizione di correttivi utili a migliorare il sistema di voto all’estero è, da tempo, una tesi propugnata da più parti. Oggi, essa è destinata a diventare una priorità. Gli elettori italiani all’estero hanno già espresso il proprio voto, ma indipendentemente dai risultati le critiche non vengono meno.

L’allargamento della cittadinanza italiana, innanzitutto, in seguito alla riforma apportata nel 1992, pare aver raggiunto dimensioni esorbitanti: i connazionali le cui residenze si contano fuori dallo Stato oggi, in termini giuridici, ammontano a 4 milioni e 300 mila. Il numero, in realtà, non riflette l’entità vera della connazionalità, essendo la cittadinanza italiana estesa non solo a chi è nato fuori dalla penisola, a chi non vi ha mai messo piede e non parla l’italiano, ma anche a chi è figlio di genitori stranieri. Resta, pertanto, ancora un’incognita la perdurante e sussistente polemica sulla concessione della stessa cittadinanza a coloro che nascono e correntemente vivono  nel nostro Paese, pur nascendo da genitori immigrati.

La percentuale residua dei votanti all’estero risulta, inoltre, alquanto ristretta: ecco svelato un altro incentivo alle diatribe. I seggi aggiudicati rispecchiano un formato stabile, dodici deputati e sei senatori, a prescindere tanto dal numero dei residenti quanto da quello dei votanti. Il voto all’estero, nondimeno, proviene da meno dei due quinti degli aventi diritto, marcando un netto disinteresse verso “la responsabilità elettiva” da parte degli elettori esterni, o meglio evidenziando un netto sovraccarico delle iscrizioni presso le liste di cittadini, in realtà, completamente disinteressati al voto.

Un modo facile e indolore per evitare liste elettorali “gonfiate” rispetto agli effettivi votanti sarebbe quello di ammettere l’iscrizione soltanto di quei soggetti che ne abbiano fatto richiesta perché, appunto,  intenzionati a votare. Anche il sistema di voto per corrispondenza, pur essendo diffuso in molte nazioni, ha acceso da noi diverse perplessità. Ogni meccanismo elettivo per corrispondenza non è in grado di dimostrare la garanzia della segretezza del voto. Il nostro dettato costituzionale (art. 48), tuttavia, sancisce nero su bianco come l’imprescindibilità del voto si debba basare su caratteristiche chiare, quali personalità, libertà ed appunto segretezza.

La proposta correttiva più diffusa a un sistema di voto per via postale, che nulla può garantire sulla libertà e sulla segretezza dell’elettore effettivamente designato, è quella che prevede l’abolizione del voto per corrispondenza e l’istituzione sostitutiva di appositi seggi presso i consolati. Anche in questo caso, però i problemi non verrebbero equamente distribuiti tra tutti i connazionali esteri, costringendo alcuni, a differenza di altri, a dover compiere per votare spostamenti scomodi e molto lunghi.

Numerosi dubbi sono poi riservati alla costatazione che gli elettori italiani all’estero non votano, come in molti altri Paesi, per candidati nazionali, bensì vengono riservati loro veri e propri collegi nei quali sono chiamati a risiedere gli aspiranti parlamentari. Le ripartizioni hanno poi larghezze a dir poco “cosmiche”: quella europea si estende da Gibilterra alla Groenlandia, da Vladivostok a Sant’Elena, dalla Polinesia francese alle Bermuda; quella intercontinentale invece annovera Africa, Asia, Oceania e perfino Antartide.

Un eventuale eligendo che volesse incontrare di persona i propri potenziali votanti, prevedendo le norme elettorali per l’estero il sistema delle preferenze, incorrerebbe in una campagna di portata planetaria, indubbiamente fuori misura. Le ripartizioni, presumendo l’assegnazione di un seggio a ciascuna, determinano inoltre uno scenario quanto mai paradossale: è infatti un solo senatore a rappresentare i 200 mila residenti nel collegio intercontinentale, e invero soltanto due sono quelli predisposti per gli oltre 2 milioni e 300 mila europei.

Già ai tempi delle precedenti elezioni la prova del sistema di voto estero, già alla sua seconda edizione, si rivelò fallimentare; da allora le proposte normative di riforma si sono accresciute, toccando unilateralmente vari orientamenti politici. La terminale legislatura, tuttavia, si è conclusa senza che nessun comma abbia subìto modifiche. Quest’anno arriva, dunque, la riconferma che lo stato delle cose deve assolutamente cambiare. Tre “collaudi”di voto infelici non sono forse abbastanza?

 

 

 

Letizia Pieri

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