Il problema, neanche a dirlo, è sempre lo stesso: le coperture che, a detta dei tecnici delle commissioni, non sarebbero sufficienti a consentire ulteriori misure da introdurre nel testo, finalizzato al rilancio dell’economia e in particolare del settore edile, le cui ultime stime parlano di un volume di investimenti tornato indietro di cinquant’anni.
Per ravvivare un po’ il clima, dunque, oltre alla proroga del bonus energia assicurata in legge di stabilità 2015, si era pensato di introdurre l’imposta in formato soft anche per chi opera lavori di ristrutturazione, già di per sé sottoposti allo sgravio Irpef confermato per tutto il 2015. A lanciare questa proposta, il MoVimento 5 Stelle, il cui emendamento aveva incontrato anche il favore delle altre forze politiche, salvo poi venire bloccato a pochi passi dall’ingresso in aula per l’ok della Camera. A coprire il taglio dell’imposta, sarebbe stato il parallelo aumento al 10% di quella rivolta ai nuovi immobili venduti direttamente dai costruttori.
Niente da fare: la Ragioneria di Stato non ha voluto sentire ragioni e ha bocciato l’emendamento in questione, assieme a decine di altri, che hanno ridotto lo Sblocca Italia a un collage senza un vero filo unico, che non riuscirà ad essere esaminato neanche in aula data l’ormai imminente scadenza.
Tra gli altri emendamenti destinati a rimanere lettera morta, il contributo all’autostrada Cisalpina e a quella del Frejus. Le concessioni della rete autostradale sono state allungate fino al 2038, ma i patron dei caselli hanno dovuto desistere sulla defiscalizzazione degli investimenti. Stop anche ai contributi per la ricostruzione delle aree terremotate dell’Aquila e dell’Emilia-Romagna.
Rimangono nel testo le norme che individuano come opere strategiche gli inceneritori, grazie a cui il Tesoro potrà attingere a 20 miliardi di euro dalla Cassa depositi e prestiti, più le eccessive semplificazioni in fatto di appalti che paiono andare contro le disposizioni adottate dopo lo scandalo Expo.
Ora, il governo chiederà in fretta la fiducia per portare il testo al Senato in seconda lettura, e convertirlo in legge entro l’11 novembre prossimo, quando decadrà. Un lusso che il governo non ha la minima intenzione di concedersi.
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