Il rientro dei capitali dall’estero: la Voluntary Disclosure

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Dal 4 dicembre scorso la c.d. Voluntary Disclosure è finalmente legge. Era già stata introdotta all’inizio del 2014 dall’art.1 del DL 4/2014, poi non convertito in legge anche per trovare una soluzione praticabile al coordinamento del nuovo strumento con l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di autoriciclaggio e per cercare di rendere più attraente per il contribuente la legge stessa, puntando sulla leva della depenalizzazione di alcuni reati fiscali, sempre con l’obiettivo di fare il massimo di cassa possibile, oltre che per rendere non troppo oneroso lo sforzo amministrativo della macchina statale.

La Voluntary Disclosure è un metodo di lotta all’evasione usato in tutti i Paesi ed è l’unico strumento lecito per gli Stati e per i contribuenti che vogliano sanare la loro posizione, anche tenendo conto degli imminenti scambi di informazione e accordi di cooperazione amministrativa bilaterali, tra cui quello con la Svizzera. Il Governo conterebbe di far rientrare in Italia tra i 30 e i 40 miliardi di euro dei complessivi 300 che la Banca d’Italia calcola siano nascosti all’estero dai contribuenti italiani. Si punterebbe ad ottenere un gettito fiscale tra i 5 e i 7 miliardi di euro, ma, anche al di là degli introiti fiscali, si tratterebbe di denari che potrebbero rientrare, magari anche solo in parte, nel circuito dell’asfittica economia italiana.

L’autodenuncia, ci tiene a ripetere il Governo, non è un condono perché le imposte evase saranno esatte per intero, né è uno scudo fiscale come quelli che si sono succeduti negli anni scorsi, perché i titolari dei capitali non potranno farlo nell’anonimato, con l’interposizione di un professionista o di un intermediario. Inoltre con gli scudi si poteva anche scegliere di scudare solo una parte dei capitali detenuti all’estero mentre con la Disclosure approvata si dovrà dichiarare tutto.

In cosa consiste

L’accesso prevede una complessa procedura volontaria ed irrevocabile e la finestra si chiuderà il 30 settembre 2015. Lo strumento interessa tutti i contribuenti “resipiscenti” che vorranno fornire piena e veritiera collaborazione procedendo al pagamento di tutte le imposte dovute e dei relativi interessi e sanzioni e sanando le violazioni relative agli obblighi di monitoraggio fiscale commesse fino al 30 settembre 2014 o anteriormente. Sarà il contribuente stesso ad inviare all’Agenzia delle Entrate un modulo di 2 pagine in cui saranno indicati distintamente tutti gli investimenti e le attività finanziarie detenute all’estero, direttamente o indirettamente, per tutti i periodi su cui il fisco può ancora procedere ad accertamento. Il contribuente dichiarerà, ad esempio, tutti i movimenti in conto e fornirà tutti i calcoli sui redditi conseguiti, fornendo le necessarie informazioni su eventuali apporti e dismissioni parziali che abbiano interessato l’attività estera per tutti i periodi accertabili, comprese le informazioni sui prelevamenti che potrebbero essere utili per rilevare la creazione di altre attività estere. Andranno indicate tutte le informazioni e allegati tutti i documenti necessari alla spesso complicatissima ricostruzione dei singoli redditi (dividendi, redditi da immobili, redditi finanziari, ecc.) con cui tali patrimoni furono costituiti, acquistati o che oggi derivano dalla loro dismissione. Questo perché l’emersione volontaria darà luogo ad un vero e proprio accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate che dovrà ricostruire le aliquote da applicare distintamente. È prevista, però, la possibilità di determinazione forfetaria dei rendimenti sui conti sino a 2 milioni di euro. Il contribuente dovrà fornire all’amministrazione fiscale tutti i documenti e le informazioni necessari per la ricostruzione dei redditi e per tutti i periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione. Bisognerà qui porre molta attenzione perché, in caso di false attestazioni, si rischiano da 1 anno e 6 mesi ad 6 anni di carcere. E se si vorranno ottenere i massimi sconti sulle sanzioni il richiedente dovrà dimostrare di aver trasferito i capitali in Paesi white list dove dovranno essere detenuti e l’intermediario estero dovrà essere autorizzato dal contribuente a collaborare con il fisco italiano.

Sconti sulle sanzioni

Le sanzioni per la violazione dell’obbligo di monitoraggio saranno ridotte all’1,5% dell’importo non dichiarato per chi ha trasferito capitali in Stati white list, cioè metà del minimo edittale, e al 4,5% dell’importo non dichiarato nei casi di Paesi non white list, cioè il minimo edittale ridotto di 1/4.

Non sarà facile applicare ad ogni caso concreto la nuova legge, così come sarà complicato fare a priori un esatto calcolo del costo complessivo dell’autodenuncia tra sanzioni e imposte, stante la oggettiva difficoltà a ricostruire le singole posizioni, soprattutto quelle più lontane negli anni e perché si dovrà accettare il calcolo “proposto” dall’agenzia delle entrate. In termini di mero “costo fiscale” complessivo già esisteva nella prassi dell’amministrazione finanziaria la possibilità di accedere alle sanzioni in misura ridotta, cioè 1/6 del minimo per quanto concerne l’imposizione sui redditi e il pagamento di un importo pari a 1/3 della sanzione per adempimenti relativi al monitoraggio fiscale. Inoltre, la collaborazione del contribuente consentiva la possibilità di ridurre queste stesse sanzioni sino alla metà del minimo. Però con la nuova legge vengono introdotte diverse esimenti penali che alletteranno alcuni dei contribuenti con situazioni più complesse. V’è da dire anche che il rimpatrio potrà comportare, in taluni casi, anche la segnalazione alla Procura della Repubblica per evasione fiscale. Quest’obbligo di segnalazione alla Procura al termine della procedura volontaria consente al PM di valutare se oltre ai reati eventualmente coperti dalla voluntary disclosure vi siano altri fatti perseguibili. Il pagamento del dovuto, in accordo col Fisco, consente uno sconto di un terzo di pena, che aumenta se il contribuente patteggia la pena con il Pm. Ciò che appare, quindi, molto delicato nella valutazione dello strumento sono le eventuali conseguenze penali del non adeguarsi, valutazione che va compiuta caso per caso e che derivano dal considerare, oltre alle esimenti previste in materia di autoriciclaggio, anche l’esclusione per chi si autodenuncia della punibilità da 1 a 3 anni per i reati di infedele ed omessa dichiarazione.

In definitiva, nella valutazione del singolo caso della convenienza dell’accedere al procedimento di Voluntary Disclosure sarà quindi necessario porsi, tra le altre, le seguenti domande:

–          la condotta del soggetto che intende procedere alla regolarizzazione potrà avere delle implicazioni penali e di che tipo?

–          Quali sono le violazioni tributarie non penali che accompagneranno il debito di imposta?

–          Quanti sono gli anni accertabili e quali sono le annualità non più accertabili? Serviranno i capitali in Italia?

–          Come è stato creato il patrimonio all’estero?

–          Il paese in cui è detenuto il patrimonio da regolarizzare è non white list?

–          A quanto ammonta il debito complessivo d’imposta?

In un mondo che va inevitabilmente verso lo scambio automatico di informazioni tra amministrazioni finanziarie e sistema bancario e in presenza di un sempre minor numero di paesi dal sistema bancario opaco, reticente o riservato, prenderei in considerazione anche l’inestimabile valore del riuscire a dormire sonni tranquilli dichiarando in trasparenza quel che ci si è dimenticati negli anni passati e per mille motivi di far conoscere al fisco.

Paolo Battaglia

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