Processo Mediaset: in attesa della sentenza di domani cosa si attende?

Letizia Pieri 29/07/13
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Domani va in scena l’ultimo atto del processo Mediaset. La vicenda incentrata sulla compravendita dei diritti televisivi, con Silvio Berlusconi imputato, approda infatti in Cassazione. L’attesa, trepidante già da giorni, assume un’importanza cruciale dal momento che il verdetto finale per l’ex premier potrebbe arrivare a rappresentare la ghigliottina, tanto per il rispettivo partito, quanto per l’esecutivo delle larghe intese. “Non ho paura, l’Italia è più stabile di quanto ci si aspetti”, aveva annunciato ieri il leader del Pdl poi smentendo, “non farò l’esule come Craxi, andrò in carcere”. Il pericolo maggiore, in caso di condanna, non è tanto il carcere (dal momento che i quattro anni di reclusione slitterebbero comunque a uno per via dell’indulto, pena per la quale Berlusconi, in quanto incensurato, beneficerebbe di misure alternative), quanto piuttosto l’esilio dai ranghi parlamentari quale conseguenza della pena accessoria, e cioè l’interdizione quinquennale dai pubblici uffici. Questo quadro a tinte fosche per il Cavaliere resta, tuttavia, soltanto ipotetico dal momento che la sentenza sui diritti tv Mediaset potrebbe non ricevere piena convalida da parte dei giudici del Palazzaccio.

Sebbene sia stato confermato sino al secondo grado di giudizio, l’impianto accusatorio ribadisce la colpevolezza del gruppo Mediaset, responsabile di non aver acquistato direttamente i diritti televisivi e cinematografici dalle major statunitensi, ma di averlo fatto sfruttando il canale intermediario di alcune società off-shore (per citarne due, la Century One e l’Universal One) con l’intento di “gonfiare” il prezzo ad ogni scalino della catena. Un meccanismo, questo, che avrebbe consentito alle società off-shore (tutte, secondo l’accusa, direttamente riconducibili alla persona di Berlusconi) di “fare la cresta” tra il valore iniziale e quello finale, corrisposto effettivamente da Mediaset. L’obiettivo di questo intricato meccanismo? Niente di più ‘semplice’: creare fondi neri all’estero e frodare il fisco italiano per oltre 7 milioni di euro.

Da una prospettiva strettamente processuale, gli scenari in gioco sono vari e molteplici. Oltre all’eventuale conferma della condanna, già sancita nei primi due gradi di giudizio, si delinea l’ipotesi dell’annullamento, il quale a sua volta potrebbe essere totale (venendo così a configurare un’assoluzione definitiva) oppure parziale. In quest’ultimo caso i giudici, dopo aver riconosciuto un vizio procedurale o formale nel precedente grado di giudizio, riporrebbero le carte nella mani della Corte d’Appello predisponendo altresì un ulteriore processo incentrato sugli specifici punti sollevati, da celebrare dinanzi ad un diverso collegio rispetto a quello già espressosi sul leader Pdl. Sussistono poi altre variabili ancora, più precisamente subordinate allo scadenzario. Al riguardo, non è affatto scontato che l’intera partita trovi esito definitivo nell’udienza di domani, 30 luglio.

Insieme all’ex premier, sul banco degli imputati, ci sono altre tre persone: l’ex produttore statunitense Frank Agrama, considerato suo ‘socio occulto’, e gli ex manager Mediaset, Daniele Lorenzano e Gabriella Galetto. Il pool di legali di Berlusconi, questa volta annoverato della presenza del professor Franco Coppi (un principe del foro specializzato proprio nelle udienze di Cassazione) al fianco degli ‘storici’ Niccolò Ghedini e Piero Longo, potrebbe arrivare a declinare la prescrizione (pronta a scattare almeno sulla presunta frode fiscale del 2002) e chiedere viceversa un rinvio. Dello stesso tenore potrebbe essere la richiesta da parte dei legali degli altri tre imputati. Questa mossa permetterebbe di rinviare l’intera bagarre di almeno qualche mese, tornando così, soltanto in autunno, all’esame dei giudici della terza sezione della Suprema Corte.

E dal mondo politico, gli interrogativi della vigilia non si fanno attendere. Quali ricadute avrà il pronunciamento sul governo Letta? Quali le reazioni dei fronti opposti, ma alleati, Pd-Pdl? La situazione dunque, per tutti i partiti della maggioranza, si annuncia già oggi molto vulnerabile. Mentre il quotidiano della famiglia Berlusconi da giorni esce con in prima pagina un implacabile (e sanguinario, dato l’utilizzo dell’inchiostro rosso) conto alla rovescia, molti esponenti del partito ‘azzurro’ paventano di lasciare le aule parlamentari. D’altra parte, però, non mancano opinioni più ‘rassicuranti’: “nessuno può dubitare della stabilità dell’esecutivo perché chi più di tutti ha voluto farlo nascere è stato proprio Silvio Berlusconi, e l’ha fatto perché consapevole della crisi economica”, minimizza l’allarmismo generale dei toni il ministro delle infrastrutture ed esponente del Pdl, Maurizio Lupi. Nessun tipo di condizionamento sull’azione politica è il parere espresso dal capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda: “La giustizia non può condizionare l’agire della politica, e viceversa”. Una condanna di Berlusconi, secondo Zanda, non implicherebbe di per sé la rottura del patto di governo col Cavaliere, tuttavia, avverte il capogruppo, “se il Pdl avrà reazioni eversive, l’alleanza verrà meno”. Una fetta dei Democratici, in modo particolare l’area renziana, sembra tuttavia pronta, in caso di condanna, a lasciare al governo una scelta alternativa che chiede una rottura netta col Pdl. Paventa poi uno scenario “terribile”, in caso di un’uscita di scena del Cavaliere per via giudiziaria, il leader di Sel, Nichi Vendola: “Noi non possiamo aspettare il 30 luglio come fosse l’ora X del cambiamento. Sarebbe terribile se Berlusconi uscisse di scena non per via politica ma per via giudiziaria: io, Berlusconi, voglio sconfiggerlo politicamente”. Al di là delle divergenti opinioni, pare chiaro a tutti che la sentenza Mediaset in agenda per domani potrebbe rappresentare un’ulteriore, difficile, occasione di scontro tanto per la resa dei conti interna al Partito Democratico e al Pdl quanto per i destini dell’intera legislatura.

Letizia Pieri

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