Il Partito (non) Democratico e la metafora Crisafulli

Massimo Greco 27/04/15

Il bassissimo indice di gradimento dei partiti politici italiani è dimostrato anche dai versamenti che gli italiani hanno fatto ai medesimi in forza della nuova disciplina sul finanziamento pubblico dei partiti. Solo 4 contribuenti su 10mila hanno infatti sostenuto con il 2 x mille dell’IRPEF il loro partito politico di riferimento. A barrare la casella del modello 730 targato 2014 sono stati infatti soltanto 16.518 cittadini sugli oltre 41 milioni che hanno presentato la dichiarazione dei redditi al Fisco.

C’è poco da fare e bisogna prenderne atto. L’epidemia dell’anti politica continua a contagiare tutto ciò che ruota attorno il termine “politica”, a partire da quelle strutture associative che della politica ne fanno la loro mission statutaria. I partiti politici, secondo quanto previsto dalla Costituzione, sono infatti delle associazioni private non riconosciute che concorrono, con “metodo democratico”, a determinare la politica nazionale. Studiosi della materia si sono tante volte interrogati su cosa e come applicare il “metodo democratico”, arrivando ad una comune conclusione. Il legislatore ordinario, e quindi il Parlamento, non ha mai voluto introdurre nell’ordinamento una disciplina applicativa del citato principio costituzionale per lasciare liberi i partiti di determinare in piena autonomia modalità e forme del citato “metodo democratico”. Nessuna meraviglia quindi se il Partito Democratico, monopolista al governo della politica nazionale, decide d’emblée di sostituire i dieci membri della minoranza Dem presenti in commissione affari costituzionali, o di impedire determinate candidature ovvero di non ostacolarne altre.

Giusto e legittimo è, nel contesto di quell’autonomia statutaria riconosciuta al partito politico, limitare il diritto di elettorato passivo all’esercizio di funzioni pubbliche elettive sulla base di propri codici etici, così come giusto e legittimo è individuare autonomamente la classe dirigente che dovrà rappresentare il partito politico nei diversi livelli istituzionali.

Ingiusto e illegittimo ci appare invece continuare ad utilizzare strumenti, argomentazioni e filosofie interventiste per piegare arbitrariamente alle esigenze del “Comandante in capo” di turno regole e discipline statutarie. Il caso del Sen. Crisafulli rappresenta la cartina al tornasole di siffatta distorsione, aggravata dalla cronica periodicità degli eventi elettorali. Il Sen. Crisafulli, che in nome e per conto del PD ha rivestito numerosissime cariche istituzionali, oscilla infatti a ritmi monsonici tra la incandidabilità, la impresentabilità e la inopportunità a ricevere ulteriori incarichi istituzionali. Le medesime avvertenze non si registrano però per far rivestire allo stesso la carica di Segretario provinciale del partito. In sostanza, il Sen. Crisafulli può benissimo rappresentare quel partito politico a cui la Costituzione affida la fondamentale funzione pubblica di concorrere alla formazione della politica nazionale, ma non può, in nome e per conto del medesimo partito politico, esercitare funzioni pubbliche elettive nelle Istituzioni democratiche.

Signore Presidente Renzi, ci faccia sapere se tra le grandi riforme che ha avuto occasione di partecipare nei giorni scorsi al suo amico Obama, vi è anche quella di assicurare regole democratiche all’interno dei partiti politici in generale e del suo P.D. in particolare. In attesa che ciò avvenga, “stia sereno” perché il Sen. Crisafulli non avrà il mio voto, ma non certo perché la sua candidatura a Sindaco di Enna è viziata da “impresentabilità” o “inopportunità” ma, molto più semplicemente, perché le sue frequenze culturali, prima ancora che politiche, sono nettamente distinte e distanti dalle mie!

Massimo Greco

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