La sentenza prende le mosse dal ricorso di una lavoratrice che lamentava la riduzione da 3 a 2 dei giorni di permesso mensile riconosciuti dall’articolo 33 comma 3 L. 104/92 per i familiari di portatori di handicap in situazione di gravità. La ricorrente, dipendente con part-time verticale, vedeva riconoscersi il proprio diritto sia in primo che in secondo grado.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento proponevano ricorso in Cassazione sia il datore di lavoro che l’INPS. In particolare, l’ente di previdenza contestava l’affermazione della Corte, laddove la stessa precisava che la riduzione dell’importo in funzione del minor numero di ore di lavoro, sancita dall’articolo 4 del Dlgs. 61/2000, riguardava solamente il trattamento economico del lavoratore part-time, oltre a retribuzione feriale, malattia ordinaria e professionale, infortuni, maternità, con esclusione appunto dei permessi L. 104.
La Suprema Corte ha ritenuto infondato il ricorso dell’Inps. In particolare, i giudici hanno messo in luce che il permesso mensile di cui alla Legge 104/92, costituisce “espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell’assistenza di un parente disabile grave”.
Si ricorda, infatti, che i permessi in questione sono a carico dell’Inps (pagati direttamente o anticipati dal datore di lavoro in busta paga), che garantisce anche la copertura ai fini della pensione. In definitiva, afferma la Cassazione, si tratta “di una misura destinata alla tutela della salute psico-fisica del disabile quale diritto fondamentale dell’individuo tutelato dall’articolo 2 della Costituzione che rientra tra i diritti inviolabili che la Repubblica riconosce e garantisce all’uomo”.
Considerata la sua importanza, per i motivi di cui sopra, la Suprema Corte qualifica l’istituto dei permessi mensili come un diritto non comprimibile e da riconoscersi in egual misura a prescindere dal monte ore del dipendente.
Non solo, la Cassazione, rievocando un principio utilizzato in altre sentenze, ha escluso che la fruizione di 3 giorni al mese di permesso ex L. 104 a fronte di un part-time verticale (come quello in esame) con orario 8,30 – 14,30 per 4 giorni alla settimana, costituisce “un irragionevole sacrificio per la parte datoriale”.
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È utile ricordare che la Legge n. 104/92 riconosce 3 giorni mensili di permessi retribuiti a coloro che assistono persone con handicap in situazione di gravità che non siano ricoverate a tempo pieno. La misura si applica sia ai dipendenti privati che pubblici, in qualità di coniuge, parente o affine entro il secondo grado del soggetto da assistere.
L’istituto può estendersi ai parenti o affini entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Importante sottolineare che mentre la legge consente al dipendente di seguire più persone, il diritto ai permessi non può essere esteso a più di un lavoratore per il medesimo assistito (cosiddetto principio del referente unico).
Infine, a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 76/2016 e degli opportuni chiarimenti Inps intervenuti con la Circolare n. 38/2017 e il Messaggio n. 843/2017, i permessi ex L. 104 possono essere fruiti sia dal convivente di fatto che da chi che è parte di un’unione civile.
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