L’abito non fa il giudice

Elena Tugnoli 06/09/12
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Quando leggiamo storie come queste “La storia (vera) del giudice che sfregiava le macchine degli avvocati“, cosa ci stupisce?  Perché nella nostra testa un giudice non può comportarsi così?

Se a rigare la macchina fosse stata una persona con un altro lavoro probabilmente non ci saremmo stupiti più di tanto. Quello che fa la differenza è il ruolo sociale che noi attribuiamo ad una persona in quanto giudice, quindi, per definizione, persona moralmente pulita e che si occupa di far rispettare la legge.

Ma solo perché indossa una toga allora è così? Il ruolo sociale siamo noi ad attribuirlo, siamo noi a credere che sia così, e l’interessato “sta al gioco”.

Siamo tutti così, più abbiamo un certo ruolo, più siamo bravi e ci impegniamo per mantenerlo, interpretarlo, indossarlo… come una toga! Davanti a chi ci può giudicare, a chi ci può far scendere di stato sociale siamo bravi e buoni, ma appena gli altri che ci guardano tolgono lo sguardo, torniamo ad essere umani e facciamo atti di cui ci possiamo vergognare… come rigare una macchina!

In effetti, quando il giudice è ritornato ad essere “semplicemente uomo”, perché è andato in pensione, allora si è concesso l’atto vandalico.

Ma che sia proprio il peso di mantenere un apparenza così importante e “vincolante” che l’abbia portato a fare un gesto così? A prendersela con chi si occupa anch’esso di legge ma (forse) con un ruolo forse più  leggero – meno ingessato socialmente?

Siamo tutti così, animali sociali che seguono norme (implicite) di comportamento per mantenere un ruolo ed un riconoscimento all’interno del “branco”…

Elena Tugnoli

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