Interruzione improvvisa del rapporto di lavoro è motivo di risarcimento per la controparte

Rosalba Vitale 11/05/14
Con sentenza n. 9220 del 23 aprile 2014 la Corte di Cassazione ha affermato, che in un rapporto di lavoro in cui una parte interrompe all’ improvviso il rapporto stesso non fornendo un servizio alla clientela è motivo di risarcimento a favore della controparte.
I rapporti obbligatori hanno un contenuto complesso, in quanto accanto all’ obbligo principale di prestazione, ciascuna delle parti deve attendere anche ad una serie di obblighi di protezione i quali costituiscono obblighi accessori rispetto alla prestazione principale, volti alla tutela della persona e del patrimonio dell’ altra parte.
Premesso ciò, il debitore o il creditore che, nell’ attuazione del rapporto obbligatorio cagionino un danno alla controparte dovrebbero rispondere in via contrattuale, anche se l’ obbligo di prestazione sia stato adempiuto.
La relazione del guardasigilli n. 588 osserva sull’ argomento che “ il codice civile, pur considerando preminente la posizione del creditore, ha ritenuto nell’ art. 1175 c.c. , di imporgli un dovere di correttezza e di parificare la situazione, da tale riflesso a quella fatta al debitore, infatti il debitore, ex art. 1175 c.c. , è tenuto a identico contegno”.
“ In generale la correttezza è uno stile morale della persona, di coerenza e fedeltà ai doveri che secondo la coscienza generale, devono essere osservati nei rapporti tra i consociati, mentre a livello giuridico è un dovere di comportarsi in maniera tale da non ledere l’ interesse altrui fuori dei limiti della legittima tutela dell’ interesse proprio”.
L’ art. 1175 c.c. ricomprende una serie di disposizioni che fanno riferimento alla buona fede, quale criterio oggettivo di valutazione del comportamento secondo quel denominatore comune di lealtà e di probità che costituisce un’ esigenza fondamentale del dovere civile.
La correttezza e la buona fede trovano fondamento nell’ art. 2 Cost. E si caratterizzano come criteri che si imperniano sulla fedeltà al vincolo contrattuale.
Sulla violazione di tali obblighi, il nostro codice civile detta una disciplina del danno da risarcire che trovano applicazione sia nel caso di responsabilità contrattuale che extracontrattuale.
L’ art.1223 c.c. Prevede che il risarcimento del danno per inadempimento o per il ritardo deve comprendere tanto la perdita subita ( danno emergente), che il mancato guadagno (lucro cessante) in un rapporto di causa effetto.
Nella vicenda in esame, un consulente informatico proponeva ricorso al Tribunale di Roma che ingiungeva la Società datrice di lavoro al pagamento del compenso, per l’attività svolta dal professionista.
La controparte si opponeva con domanda riconvenzionale adducendo che il preavviso di 3 giorni non fosse bastato per provvedere alla sostituzione del professionista e pertanto avanzava la proposta per ottenere a sua volta il risarcimento del danno per avere la Società dovuto risarcire il proprio cliente.
L’opposizione veniva accolta sia in primo grado che in Appello.
Avverso tale sentenza il professionista proponeva ricorso in Cassazione che confermava la violazione dell’ art. 2237 c.c., e ne rigettava il ricorso così motivandola: “ il recesso dal rapporto di lavoro deve avvenire in modo tale da non arrecare pregiudizio al cliente”.

Ad avviso della Suprema Corte, il comportamento del consulente cagionava un danno alla Società informatica che andava risarcito.

Rosalba Vitale

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