Il biologo forense e l’attività di investigazione scientifica ai sensi della legge 397/2000

Eugenio D Orio 22/07/16
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La Legge 397/2000 ha rivoluzionato l’impianto del sistema processuale penale, trasformando l’intero impianto del processo in un sistema di tipo accusatorio, ove il PM, nel ruolo dell’accusa, e l’avvocato difensore sono in una condizione di parità, in cui entrambe le parti possono esprimere le proprie ragioni  e queste verranno valutate da un giudice, inteso come persona terza ed estranea al processo, il quale assume i fatti così come presentati in contraddittorio e ne trae in maniera “super partes” le conclusioni. Tale parità abbraccia anche le attività della parte lesa.

Tale legge ha contorni innovativi anche perché permette le c.d. “indagini difensive”, ossia permette all’avvocato del difensore di potersi avvalere di un proprio team, composto di specialisti di diverse competenze, al fine di indagare sull’evento criminoso oggetto di processo. In più, gli atti del PM sono liberamente consultabili dall’avvocato della difesa, ciò garantisce il tempo e le condizioni necessarie affinchè sia costruita una corretta azione difensiva da parte del soggetto indagato.

In tale contesto, vista la ribalta e la centralità a livello processuale che assume il DNA, nel team difensivo sempre più correntemente sono presenti biologi forensi, i quali espletano il proprio ruolo professionale andando a valutare quanto riportato negli atti del PM (se si tratta della valutazione di un risultato genetico dalla natura irripetibile); sono inoltre oggetto della valutazione del biologo forense con specifica formazione nel settore di criminalistica tutti quei passaggi e accertamenti tecnico-scientifici effettuati sulla scena criminis dall’autorità giudiziaria.

Infatti questo è un concetto che mi preme sottolineare: il risultato degli esami del DNA non è che l’ultimo dei prevenuti in ordine cronologico, infatti i lavori di natura tecnico-scientifica iniziano proprio dal lavoro sulla scena criminis, dalla fase dell’iniziale sopralluogo, alla fase di repertamento, alle frequenti fasi di successivi sopralluoghi, sino alle fasi di catena di custodia del reperto da esaminare. Solo dopo che tutti questi eventi sono avvenuti, la cui complessità sembra irrilevante (ma assicuro che non è così), il materiale biologico giunge nei laboratori ( i quali anche loro devono avere un’opportuna certificazione ISO, altrimenti i risultati che emetteranno non saranno a fini forensi validi!) e solo ora si compie l’esame di tipo genetico!

Mi preme sottolineare come, a livello processuale, dire che il DNA di un soggetto indagato è presente sulla scena del crimine o sull’eventuale vittima, non coincide mai con il dire che è il “DNA dell’offender”, infatti va ben considerato che il DNA non dà mai informazioni di carattere temporale certo, non indica mai il momento preciso della sua deposizione ove è stato repertato, ma sicuramente è testimone che, in quel preciso luogo, la persona cui appartiene quel DNA è transitata.

La vera nuova frontiera che quest’ambito di investigazione scientifica offre alle indagini delle parti consiste nel fatto che vi è una sorta di “superamento dello stato dell’arte”, in quanto ad oggi, correntemente nei Tribunali si è soliti porre attenzione e valutazione unicamente in merito al dato genetico (DNA); tutto ciò, con l’evoluzione scientifica di tecniche e procedure, è sulla via di esser giustamente integrato, facendo precedere alla valutazione dell’analisi genetica, le giuste perizie degli specialisti in merito alle modalità di svolgimento delle fasi di “ricerca della fonte biologica, visibile e latente”, “modalità di repertamento della fonte di prova biologica” e “catena di custodia della fonte di prova biologica”. Questi sono i corretti fattori che, solo se presenti e tutti effettuati in maniera idonea daranno forza probatoria ad un dato biologico.

Ancora, è in via di sviluppo, grazie alla nuova branca della “biologica-criminalistica”, lo studio non più solo del genetico (DNA), ma anche e soprattutto del tipo di tessuto corporeo da cui quel DNA è stato estratto e anche della disposizione spaziale secondo la quale le fonti di prova biologiche in oggetto sono state rinvenute e repertate. Tutto ciò con il chiaro intento, di enorme pregio e forza a livello processuale, di servirsi di tutte le informazioni rilasciate dal biologico sulla scena criminis e, leggendole sinergicamente, usarle per ricostruire la dinamica dell’evento delittuoso indagato.

Discorso separato va fatto per la tanto famosa questione del “DNA touch”, divenuto celebre nel caso di Meredith, in cui la presenza del DNA degli indagati è stata dimostrata in processo attribuibile ad una contaminazione accidentalmente provocata dagli operatori stessi della polizia giudiziaria in fase di sopralluogo e repertamento! Ciò accende necessariamente i riflettori di natura giurisprudenziale, nonché scientifica, sull’esame del lavoro che si effettua sulla scena criminis, lavoro questo che è stretta competenza del biologo forense.

Il fine ultimo della biologia forense non è unicamente quello di determinare l’appartenenza di un DNA ad un soggetto, bensì anche quella di contribuire alla valutazione della crimodinamica partendo dallo studio degli aspetti prettamente biologici e scientifici che portano alla ricostruzione dell’evento criminoso, “conditio sine qua non” di ogni processo!

L’Ordine Nazionale de Biologi sta promuovendo, per la categoria dei biologi forensi, la divulgazione e l’interazione con giuristi e magistrati, in quanto è strettamente necessaria ed è nell’interesse dei cittadini tutti, e del corretto corso della Giustizia, che i processi aventi per oggetto prove di natura scientifica vengano trattati e sottoposti all’esame di professionisti specifici, opportunamente formati e qualificati, che sono di supporto sia ai team difensivi, sia ai magistrati, dato che spesse volte siamo chiamati a rivestire il ruolo dei periti. La scienza offre oggi,e continuerà incessantemente ad innovare tecniche e metodologie che sono volte alla “tutela” della prova scientifica, in quanto questa deve essere un elemento di natura oggettiva, dimostrabile in maniera inconfutabile in tutti i suoi passaggi.

L’ambito illustrato si distanzia nettamente da quanto illustrato in fiction televisive (quali CSI ad esempio), ma si pone come base necessaria per affrontare in modo corretto un ambito che prevede necessariamente la partecipazione di molteplici figure professionali per essere studiato e valutato in maniera adeguata.

Basti pensare che una singola scena del crimine, anche c.d. “semplice” con sé prevede sempre l’interazione delle figure professionali quali i criminologi, gli esperti in sopralluogo e repertamento, eventualmente gli esperti in balistica, sempre gli esperti in ricostruzione crimodinamica, i biologi forensi, i tossicologi forensi, i medici legali….e così via discorrendo.

In tale ambito multidisciplinare è opportuno, ai fini del corso corretto della Giustizia e anche ai fini dell’esercitare in maniera adeguata le indagini difensive, che ogni professionista si concentri su ciò che unicamente compete la propria sfera professionale, senza mai sforare il campo. Sarà poi, in ultimo, determinante l’azione dell’avvocato penalista, vero è proprio dominus dell’indagine di parte, che dovrà mettere insieme il puzzle di dati oggettivamente ottenuti e dovrà operare in processo sulla base di questi.

Le tre locuzioni con cui porgo i saluti a tutti gli Avvocati e Magistrati che leggeranno questo breve articolo sono: Cooperazione, professionalità e identità di interessi!

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Eugenio D Orio

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