Con l’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica, la politica ha scelto – quasi all’unanimità – un uomo che sembra arrivare da un altro pianeta rispetto alla politica dei selfie, in cui un “mi piace” conta più di un voto, e uno streaming più di un’assemblea pubblica. Senza dubbio, si tratta di un anti personaggio, estraneo allo schema attuale, ma soprattutto di una persona mite, che ha sempre fatto della ragione e dell’argomentazione critica il proprio punto di forza, più che dell’esposizione mediatica. E forse è proprio questo il motivo per cui in passato, non è stato presidente del Consiglio, del Senato o della Camera. E’ il primo Capo dello Stato a non aver ricoperto, in precedenza, una delle altre tre cariche principali, ma è pure il primo giudice costituzionale a essere eletto al Quirinale: come dire, negli anni in cui la politica è sempre più vuota di contenuti, a rappresentare il Paese arriva un teorico, profondo conoscitore del sistema nei suoi più complicati ingranaggi, che ha tradotto la sacralità di questi principi in una solida sobrietà personale, per molti il vero “quid” ad averlo portato dritto al Quirinale.
L’esatto contrario della rottamazione, parrebbe. E infatti si è detto che il nuovo presidente non fosse la prima scelta di Matteo Renzi, che il suo nome sia una sorta di compromesso per sfondare negli schieramenti avversi, addirittura che il premier e Berlusconi fossero d’accordo fin dall’inizio. Tutto plausibile, la verità non la conosceremo mai. Di certo, oggi Sergio Mattarella è quanto di più somigliante nel panorama politico e istituzionale a quel Giorgio La Pira, esponente della Dc dopoguerra, che il presidente del Consiglio cita regolarmente come modello e ispirazione nell’amministrare la cosa pubblica. Siciliano, cattolico fervente, idealista, dal forte rigore morale e poco incline a scendere a patti: questo era La Pira, e tale, finora, è il Sergio Mattarella più noto alle cronache.
Naturalmente, a parlare saranno i fatti. C’è chi lo dipinge come un nuovo Oscar Luigi Scalfaro, ma dal presidente del celebre “Non ci sto” Mattarella si distingue per un temperamento assai più morigerato, pur nell’inflessibilità che il suo percorso suggerisce. Dal Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa alla Corte costituzionale, il nuovo capo dello Stato si è distinto per un rispetto quasi religioso dell’ordinamento e dei suoi valori fondanti. Non ci sono solo le dimissioni contro la legge Mammì del 1990 a testimoniare la sua intransigenza: anche nel settembre del 2008, già defilato, non esitò a definire la riforma Gelmini sulla scuola come “un colpo di mano” additandola di “superficiale approssimazione”.
Quanto poi riuscirà a incidere sulla scena, toccherà a lui dimostrarlo. Tra i maggiori artefici del passaggio tra prima e seconda Repubblica, il suo nome diede i natali a quella legge elettorale oggi tanto rimpianta, ma neppure riproposta dai partiti, che si apprestano ad approvare una norma di ben altro spirito e finalità. Un altro neo, poi, è indubbiamente lo standing internazionale, tra i criteri più sbandierati nei giorni scorsi, di cui Mattarella non è tra i massimi esponenti nazionali, se non per l’esperienza come ministro della Difesa nei governi D’Alema e Amato. Un’incognita molto pesante, con l’Europa al bivio tra il rigore inefficace degli ultimi anni, l’arrivo di novità come Tsipras o lo spettro crescente del nazionalismo. Se nella prima fase potremo aspettarci un proseguimento dell’era Napolitano, Mattarella, in potenza, potrebbe riproporre la fermezza di Sandro Pertini, con l’obbligo, però, di adottare uno stile disinvolto e popolare, vista anche la possibile incertezza politica delle prossime settimane, seguente proprio alla sua elezione.
Se la Costituzione appare fuori pericolo, il capo dello Stato dovrà riabituarsi in fretta a flash e microfoni, per non trovarsi eclissato da personaggi più avvezzi al circo mediatico, e da un teatrino sempre più distante da quella politica alta di cui Mattarella è stato, ed è, una delle voci più cristalline.
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