Quanto a prima vista potrebbe sembrare una sfumatura, suggerisce in realtà una delle chiavi di lettura più importanti di questa confusionaria campagna elettorale: Berlusconi cerca di strappare a Grillo la fetta di vecchi elettori che lo ha mollato senza troppe remore, evitando, però, di nominare direttamente il comico genovese. Perché? Non è ardito affermare che, per la prima volta, il Cavaliere teme seriamente l’aggressività mediatica di un avversario politico.
Nei giorni scorsi, acclamati sondaggisti hanno certificato come il MoVimento 5 Stelle vada inteso come il principale “responsabile” del calo di consensi subito dal Pdl, avvenuto durante l’eclissi berlusconiana di fine 2012. Oggi, però, il Cavaliere, nonostante sia ancora lontano dal centrosinistra, rinuncia ad attaccare Grillo, forse perché è l’unico a incarnare una proposta “antisistema”, che possiamo bollare “populistica”, ma di un’efficacia sui media paragonabile solo al carisma televisivo del leader Pdl.
In quest’ottica, infatti, sono da intendersi le ultime uscite di Berlusconi, specialmente quella in chiave anti-Equitalia, esternata ieri a Radio24: “Chi ha dei problemi con il fisco potrà vedersi cancellate le multe e le penalità e pagare solo le imposte che non ha pagato” ha dichiarato l’ex premier, aggiungendo che “Equitalia nell’ultimo anno ha portato avanti un rapporto che qualcuno ha definito di violenza nei confronti dei contribuenti”.
Insomma, un’offensiva coerente alla crociata anti Imu e pro condono tombale, nel tentativo di richiamare a sé la maggior parte dei contribuenti vessati dal fisco, contro il quale, già da tempo, si è scagliato proprio Grillo, arrivando a proporre recentemente un “politometro” – per certificare i redditi dei politici – da affiancare al vituperato “redditometro”.
Per comprendere quanto il Pdl senta, da mesi, sul collo il fiato del MoVimento 5 Stelle, è sufficiente richiamare l’ultima rilevazione dell’istituto Swg, che, al Senato, vede la lista grillina al 17,5% contro il 19,4% del Pdl. Siamo a meno di due punti percentuali tra le due formazioni, u distacco che poi viene allargato in virtù dei numerosi alleati del Cavaliere – 12 nelle schede per palazzo Madama – che proiettano la coalizione di centrodestra al 28,7%. Stabile, come confermato da altri centri di ricerca, il centrosinistra, che guida la volata al 34,7%.
Così, se oggi Berlusconi può permettersi di insidiare il Pd e Sel, lo deve a quel 10% che arriva dagli alleati, da La Destra, da Fratelli d’Italia, da partitini presenti nelle varie circoscrizioni a macchia di leopardo, ma, soprattutto, alla Lega Nord.
E proprio il rinato feeling con il Carroccio sarà decisivo per quella che è nota come la battaglia cruciale di queste lezioni 2013: la Lombardia, dove, oltre al premio di maggioranza di 27 senatori, si assegna anche la poltrona di governatore che aprirà la stagione del post-Formigoni.
L’esito della contesa lombarda determinerà, con ogni probabilità, l’esistenza o meno di una maggioranza in entrambe le Camere parlamentari e, naturalmente, gli occhi di tutti gli osservatori e delle forze politiche sono puntati da settimane proprio in direzione di Milano e del Pirellone.
Così, vediamo come le ultime proiezioni in ottica Senato, nella regione dove è sorta l’epopea berlusconiana, attestano la coalizione di Bersani al 34% contro il 33% del fronte guidato dal Cavaliere. Una gara fin d’ora palpitante, che verrà decisa da poche decina di migliaia di voti (con annessa alta probabilità di riconteggi e polemiche aizzate dallo schieramento sconfitto).
Per la carica di governatore, invece, la situazione dell’ultima analisi firmata da Swg sembra appena più chiara, con Bobo Maroni, candidato del centrodestra, che guida con 3 punti di vantaggio su Umberto Ambrosoli, in lizza per Pd e alleati (38,5% contro 35,5%).
Ma anche qui, il vero ago della bilancia pare essere, ancora una volta, il MoVimento 5 Stelle che godrebbe del 14% dei consensi per palazzo Madama, e il quasi equivalente 13,5% per la candidata a guidare la Regione, Silvia Carcano, che tiene a distanza l’avversario del fronte montiano, e ben più blasonato, Gabriele Albertini, dato al 9,5%.
Insomma, anche nella culla del berlusconismo, Grillo e i suoi sono in forte odore di exploit, per una lista non coalizzata alla primissima apparizione su scala nazionale.
Berlusconi sa che i voti di cui ha bisogno per tallonare il Pd e avere la maggioranza in Lombardia – e rendere il Senato ingovernabile – sono proprio lì, ma, finora, ha rinunciato all’attacco diretto nei confronti di Grillo, cercando di batterlo sulle tematiche. Il risultato, al momento, non è esaltante e c’è da attendersi che, nelle ultime due settimane di campagna elettorale, i due leader possano arrivare in rotta di collisione. In quel caso, senza dubbio, sarebbero scintille.
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