Elezioni 2018, Salvini o Di Maio premier? gli scenari dopo il voto

M5Sprimo partito, e CDS con Lega pretendono l’incarico, cosa accadrà?

E adesso, che cosa succede? Dopo i risultati delle elezioni 2018, commentatori, analisti e cittadini si chiedano quali saranno gli sviluppi di una situazione che vede il MoVimento 5 Stelle prendere largamente la maggioranza dei voti sulla singola lista, con il centrodestra a trazione Lega e Salvini che ottiene il numero più ampio di seggi.

Come ormai para acclarato anche dai voti inviati al Viminale, pare proprio che ci troveremo di fronte alla situazione di un “hung parliament”, le Camere avvinghiate da numeri nebulosi in cui nessuno schieramento riesce ad avere autosufficienza per governare. L’unica certezza è la completa disfatta del Pd, che dalle europee a oggi ha dimezzato i propri consensi, portando probabilmente al crepuscolo l’era renziana.

Benché gli sviluppi di fronte a una situazione del genere rimangano difficilmente prevedibili, sono tre al momento gli scenari più probabili dopo questa infinita nottata elettorale.

Ipotesi 1: Salvini premier

Ebbene sì, il candidato presidente del Consiglio per il centrodestra è ufficialmente Matteo Salvini. Come concordato prima del voto, il partito della coalizione che avrebbe raccolto più voti si sarebbe preso la responsabilità di esprimere il nome a cui assegnare l’incarico. Una sorta di “primarie” non ufficiali, insieme alle politiche. E così quando Forza Italia, Meloni e centristi saliranno al Quirinale, avanzeranno la proposta del leader leghista, come già Renato Brunetta e altri hanno confermato.

Rimane, però, un forte dubbio, chi potrà appoggiare un governo di larghe intese guidato dal principale esponente di un partito che non ha mai nascosto la sua avversione per le politiche europee, avvicinando spesso i toni a quelli di “Front national” italiano – i complimenti di Marine Le Pen sono stati tra i primi ad arrivare alla Lega?

Di certo non il Pd, sia che a guidarlo sia Renzi sia che cambi il segretario. Difficilmente i 5 Stelle, con i quali ci sono punti di contatto, ma non sono mancate le reciproche bordate in campagna elettorale e nella passata legislatura. Dunque, Salvini potrebbe trovarsi in un vicolo cieco malgrado l’affermazione dirompente alle urne.

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Ipotesi 2: Di Maio premier

Luigi Di Maio lo ha detto a chiare lettere: il MoVimento 5 Stelle è largamente il primo partito nel Paese, con una influenza su tutto il territorio ma particolarmente accentuata al sud. Anche per queste ragioni, i grillini si aspettano che il presidente della Repubblica affidi a loro il mandato di andare a caccia id una maggioranza.

Un quadro che il giovane candidato premier M5S ha già cominciato a tracciare quest’oggi, dichiarandosi aperto a proposte e confronti sui nuovi presidenti delle Camere, che potrebbero andare a due figure della minoranza. In cambio, naturalmente, di un appoggio al primo governo pentastellato della Repubblica.

Chi potrebbe appoggiarlo? Il Pd a guida Renzi ha escluso più volte questa possibilità, ma se la linea del partito di fronte a questa sciagura elettorale dovesse cambiare, si potrebbe tornare alla casella di partenza, cioè al famoso incontro in streaming del 2013, ma a parti invertite: allora fu Bersani a chiedere l’aiuto per un governo che non sarebbe mai nato, ma oggi condizioni e premesse sono molto diverse.

Esiste anche la remota possibilità di un governo che farebbe tremare i polsi a Bruxelles, un tandem M5S-Lega, anche se nessuno dei due partiti ha intenzione di rinunciare a palazzo Chigi. Naturalmente, se i voti mancanti ai 5 Stelle arrivassero da sinistra, l’esecutivo potrebbe operare più sul fonte dei diritti, del welfare e del lavoro. Diversamente, se si dovesse tentare un asse con Salvini, il baricentro si sposterebbe più sui temi della sicurezza, del protezionismo economico e della possibilità di valutare l’uscita dall’euro. Insomma, due strade molto, molto diverse.

Ipotesi 3: premier di garanzia

Rimane in piedi la possibilità che una figura dalle retrovie possa emergere in un secondo momento qualora i partiti non arrivino a trovare un’intesa. Sono diverse le figure che si agitano sullo sfondo, sperando di fare da garanti tra posizioni diverse in nome della governabilità.

Calenda, Minniti – che ha però perso lo scontro all’uninominale – sono due ministri uscenti dal gradimento trasversale. Anche Roberto Maroni al momento dopo il no alla ricandidatura in Regione è un “disoccupato” di lusso che gode di simpatie fuori dalla Lega Nord e potrebbe essere un possibile “pontiere”.

Rimane poi l’ultima spiaggia di un premier tecnico, che però nel caso dei 5 Stelle potrebbe funzionare solo se si dovesse trattare di una personalità di alto profilo istituzionale, da indicare per un governo di scopo.

Qualche mese, non molto di più, al fine di tornare al voto, magari con una nuova legge elettorale che precluda il ripetersi di questa lunga, indefinita incertezza che abbiamo di fronte.

Fonte immagine: L’Espresso

Francesco Maltoni

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