Elezioni 2018, il corto circuito del centrodestra sugli immigrati

Le reazioni dei candidati dopo il raid di Macerata

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Diciamo la verità: eravamo quasi sorpresi del fatto che l’argomento migranti non fosse ancora arrivato a monopolizzare la campagna in vista delle Elezioni 2018. Ora, a meno di un mese dalle urne, dopo il terribile raid di Macerata, il tema è arrivato al centro dell’agenda e sembra poterla occupare stabilmente fino al 4 marzo.

Com’è ovvio, i partiti cercano di affrontare la questione secondo la linea del proprio colore, talvolta con risultati piuttosto prevedibili, talvolta con qualche giravolta inattesa.

È il caso, ad esempio, di Silvio Berlusconi che, malgrado l’età, dimostra di non aver perso il fiuto per le “autostrade elettorali” che si spalancano di fronte a eventi così drammatici.

Conscio che l’opinione pubblica è spaccata tra la ferma condanna e un malcelato giustificazionismo, il leader di Forza Italia non ha perso occasione per tornare sul tema stranieri, ribadendo la necessità di espellere almeno “600mila immigrati irregolari”.

Questa affermazione, oltre a mantenere il Cavaliere sempre stabile nei titoli di giornali e tg, ha il duplice effetto di rinsaldare un’alleanza, quella con la Lega Nord, che negli ultimi tempi sembrava un po’ barcollante, specie dopo le presunte rassicurazioni proprio dell’ex premier alla Commissione europea, sull’esclusione del Carroccio dal prossimo governo.

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Dal canto suo, Matteo Salvini non ci sta a essere tirato in ballo come sciacallo o addirittura come “mandante” della sparatoria – ha fatto molto discutere un tweet dello scrittore Roberto Saviano in materia – ma non arretra di un millimetro sulla linea durissima contro i clandestini. A complicare rendere la posizione del leader leghista, anche il fatto che il colpevole del raid si era candidato a consigliere comunale proprio nelle fila del partito fondato da Umberto Bossi, senza essere eletto. “Non posso controllare controllare tutti”, si è giustificato Salvini, con un certo imbarazzo.

Resta comunque innegabile la trasmutazione – ormai compiuta – che ha investito la Lega, che ha tolto la parola “Nord” dal simbolo per tentare un (faticoso) sfondamento verso il centro-sud. Come ha notato Ilvo Diamanti nel suo ultimo intervento su Repubblica, con l’81% dei propri supporters convinti che gli immigrati rappresentino “un pericolo” e 4 italiani su 10 spaventati dall’onda migratoria, Salvini ha capito da tempo che il terreno fertile per la sua compagine – che oggi sfida Forza Italia per la leadership nel centrodestra – è proprio quel mix di paure, ingiustizie reali o presunte e generale diffidenza che serpeggia nella popolazione, soprattutto in periodi in cui odio sociale e rivendicazioni sono favorite da una situazione economica stagnante.

L’idea di Salvini è quella di creare un “Front National” italiano, sulla scia di esperienze come il lepenismo francese o l’antieuropeismo dell’Ukip di Nigel Farage, ma con il paradosso di essersi coalizzato con Forza Italia, che aderisce alla linea del Partito popolare, con il quale, al Governo quindici anni fa, aveva addirittura avallato quel Trattato di Dublino che regola operazioni, doveri e diritti collegati agli sbarchi dei migranti. Proprio tutto ciò che la Lega versione salviniana oggi tende a contrastare.

In tempi di campagna elettorale, possono passare anche messaggi contraddittori: mai come quest’anno, del resto gli elettori sono distratti e disincantati dal voto delle politiche. Ma qualora il centrodestra dovesse ottenere una maggioranza, rimangono non pochi dubbi se a prevalere sarà il pugno di ferro – come appare in questi giorni – o se Berlusconi e i suoi torneranno fedeli alla propria tradizione e a quella dei soggetti a cui aderiscono in ambito europeo, verso una maggiore propensione all’accoglienza, alla regolamentazione di un fenomeno comunque epocale, che continua a sfuggire a ogni tipo di ricetta calata dall’alto.

[fonte img: Live Sicilia]

Francesco Maltoni

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