Dramma disoccupazione disabili. Onu: “Disoccupato oltre 1 su 2”

Redazione 01/08/12
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La crisi economica in corso ha aggravato ulteriormente la già drammatica situazione occupazionale delle persone diversamente abili, per cui la ricerca di un posto di lavoro si rileva un’impresa sempre più difficile.

Secondo uno studio dello Scrpd, l’Ufficio per i diritti dei portatori di handicap delle Nazioni Unite, nei soli Paesi industrializzati sarebbe oltre la metà (con punte fino al 70%) delle persone affette da una qualche forma di disabilità, ma in grado di lavorare, a non riuscire a trovare un impiego nella società.

Per quanto riguarda l’Italia, la Cgil rileva come vi siano più di 750.000 persone disabili iscritte nelle liste del collocamento obbligatorio. Va sottolineato come per queste persone attività “normali” per la ricerca del lavoro, come l’invio di curricula, la partecipazione a concorsi pubblici o anche solo il raggiungimento dei Centri per l’Impiego si presentano più difficili che per tutto il resto della popolazione. Spesso hanno bisogno di servizi ad hoc per gli spostamenti, come di assistenza di vario genere anche nella compilazione dei moduli e delle domande.

Nel nostro Paese, sempre secondo la Cgil, la percentuale dei lavoratori disabili si è ridotta di un terzo a partire dal 2008-2009 (cioè dalla prima fase della crisi, quella scatenata dall’esplosione della bolla della finanza derivata negli Usa). La successiva recessione che ha colpito l’economia reale ha reso più grave la situazione. Spiega infatti Nina Daita, responsabile delle politiche per la disabilità della Cgil, che “le aziende in crisi possono chiedere la sospensione dagli obblighi di assunzione dei disabili previsti dalla legge 68/99, una legge avanzata, solidale e innovativa ma che resta inapplicata perché mancano le ispezioni”. In questo modo, il 25% dei posti di lavoro previsti dalla legge per i portatori di handicap (65.000 nel solo 2009) rimane non assegnato, tanto nel settore pubblico quanto nel privato.

A causa di questa situazione, è in corso una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, avviata nel giugno 2011 dalla Corte di Giustizia Ue per mancato pieno recepimento della direttiva comunitaria n. 78/2000, relativa al contrasto della discriminazione sul luogo di lavoro. La normativa dell’Unione europea stabilisce, infatti, l’obbligo per il datore di lavoro di provvedere a creare un ambiente lavorativo favorevole e non discriminatorio nei confronti delle persone diversamente abili, tale da consentirgli non solo l’accesso all’occupazione ma anche, eventualmente, una paritaria progressione di carriera rispetto a tutti gli altri colleghi. Tale obbligo per i datori di lavoro, secondo Bruxelles, non sarebbe stato pienamente previsto dalla legislazione italiana.

La situazione di grave sottoccupazione dei portatori di handicap, oltre ad costituire una vergogna – da un punto di vista morale – per ogni Paese che voglia definirsi civile, rappresenta anche una perdita dal punto di vista economico per la società nel suo complesso. Il potenziale umano e lavorativo di queste persone, infatti, è destinato a rimanere spesso addirittura inespresso a causa di politiche puramente assistenzialistiche, con grave danno per tutta la collettività. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), nel rapporto “L’occupazione per la giustizia sociale e una globalizzazione equa. Disabilità”, stima una perdita tra l’1% ed il 7% per il Pil a causa del mancato accesso al lavoro di buona parte delle persone diversamente abili, spiegando come, in questo modo, “il potenziale di moltissime donne e uomini disabili rimane non sfruttato e non riconosciuto lasciando la maggior parte di loro a vivere nella povertà, nella dipendenza e nell’esclusione sociale”.

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