Dimissioni di Benedetto XVI: il problema del papa emerito

Redazione 12/02/13
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Il Papa rappresenta la più alta autorità religiosa riconosciuta nella religione cattolica. Secondo il diritto canonico riveste la carica di vescovo della chiesa di Roma, è capo del Collegio dei vescovi e vicario di Cristo in terra.

Come stabilito dal Libro II “Il popolo di Dio” del Codice di Diritto Canonico la rinuncia all’ufficio di romano pontefice risulta una eventualità contemplata ed ammissibile. La presenza di un “ex” Papa diventa quindi un’ipotesi tangibile a partire dalle ore 20 del 28 febbraio prossimo, data ufficiale nella quale assumerà efficacia effettiva la rinuncia al vescovado romano annunciata ieri dal pontefice Benedetto XVI, al secolo Joseph Alois Ratzinger. “E’ un caso singolare –specifica Cesare Mirabelli, professore ordinario di diritto ecclesiastico a Roma– cioè letteralmente singolo”. In epoca moderna non si è mai assistito ad un evento simile, eppure di abdicazioni al soglio pontificio la storia bimillenaria del papato ne include ulteriori: dal primo caso, nel lontano 235, di Papa Ponziano; al famoso rifiuto di Celestino V; passando per l’ultimo esempio in ordine cronologico, datato 1415, con Gregorio XII.

Il canone 332 del diritto canonico del 1983, al secondo paragrafo recita esplicitamente: “Nel caso in cui il romano Pontefice rinunci al suo ufficio si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti”. Si parla dunque di atto libero, unilaterale, non bisognante di ratificazione né di autorizzazione alcuna.

Benedetto XVI, in quanto vescovo di Roma, non perderà la dignità e la sacramentalità del suo essere vescovo”, prosegue il Prof. Mirabelli. Nell’immediato futuro si potrà parlare del pontefice uscente come di “papa emerito”, coniando un arcaismo concretamente ammissibile, ma di fatto rimasto fermo sulla carta.

La questione del papa emerito aveva spinto il predecessore di Ratzinger, Giovanni Paolo II, a declinare le dimissioni pur a fronte di un manifesto peggioramento di salute. Anche Paolo VI, per evitare di recare turbamenti all’interno dell’istituzione ecclesiastica, optò per il mantenimento della carica. “L’elezione di un nuovo pontefice mentre il vecchio è ancora in vita rappresenterebbe un problema (…) la gente si domenderebbe chi dei due conta” sanciva il cardinale Franz Koenig qualche anno fa.

Con l’intento di rimuovere eventuali dubbi al riguardo, si è pronunciato ieri padre Lombardi, portavoce del Vaticano: “Ratzinger non parteciperà all’elezione del prossimo pontefice”. Risulta arduo, tuttavia, ritenere che l’influenza dell’oramai ex pontefice non tocchi il vaglio dei cardinali sul prossimo eletto, come conferma lo storico Alberto Melloni.

Benedetto XVI non hai mai esplicitato il suo dissenso nei confronti dell’ipotetica nomina di Tarciso Bertone, segretario di Stato, tuttavia la designazione novembrina dei sei cardinali, nè europei né italiani e tantomeno curiali, oggi suona come una delineata presa di posizione a sfavore dei sostenitori bertoniani.

Il pontefice in carica non ha, difatti, confidato l’inaspettata decisione di rinuncia al collaboratore che in linea teorica gli dovrebbe essere più vicino, privilegiando i consigli del fratello Georg, del segretario Gaenswein e del cardinale Angelo Sodano. Lo stesso Sodano parrebbe una figura di rilievo nelle complesse trame decisionali: non soltanto semplice decano dei cardinali o responsabile del collegio, bensì uno dei protagonisti indiscussi degli “eletti” di Ratzinger.

Sul fronte dimissionario il vero dilemma sembra, però riguardare il dopo-elezioni, quando cioè saranno presenti all’appello due papi: il primo legittimo, il secondo emerito. L’ammissione di una sincera e risolutiva inadeguatezza psico-fisica nel portare a termine il proprio mandato potrà così bastare a giustificare il vuoto pontificio e le conseguenti perplessità?

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