Cassazione: sui diritti del migrante decide il giudice ordinario

Redazione 18/06/13
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La Corte di Cassazione, Sezioni unite civili,  con la sentenza 15115/13, depositata ieri, interviene sulle lacune, colmandole, disseminate dal decreto legislativo 286/98, tristemente noto come legge Bossi-Fini in materia di stranieri. La Suprema Corte, infatti, garantendo il riconoscimento pieno dei diritti giurisprudenziali nei confronti degli immigrati raggiunti dal decreto di respingimento alla frontiera, assegna la competenza di decidere sulla legittimità o meno del decreto del questore, e quindi sui diritti fondamentali goduti dal migrante, non più ai tribunali amministrativi regionali bensì al giudice ordinario. Il caso specifico era stato sollevato dalla difesa di un cittadino di origini tunisine approdato nelle coste di Lampedusa due anni fa. L’uomo, ospitato dal centro di prima accoglienza dell’isola, fu immediatamente colpito, a distanza di poche settimane dallo sbarco, dal provvedimento di espulsione.

Lo straniero, trasferitosi presso il Cie di Torino, si era così rivolto al giudice di pace di Agrigento il quale, tuttavia, declinò l’incombenza del ricorso considerando la natura discrezionale dell’atto prettamente amministrativa e dunque rimettendo lo stesso alla decisione del giudice amministrativo. Una volta esaminato il caso, sia sotto il profilo giurisprudenziale che normativo, i giudici di Piazza Cavour tuttavia hanno deciso di pronunciarsi a favore dell’omogeneità “contenutistica e funzionale” dell’atto rispetto ai provvedimenti di allontanamento, nei confronti dei quali l’ambito di competenza dell’autorità giurisdizionale ordinaria non è messo affatto in discussione. E’ contrario invece l’orientamento sostenuto da una giurisprudenza minoritaria secondo cui la natura autoritativa del decreto di respingimento automaticamente lo ricondurrebbe entro le maglie decisionali della giurisdizione amministrativa. Le Sezioni unite, in realtà, hanno affermato che “il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo” nei confronti delle quali il magistrato deve accertare i presupposti stabiliti de facto dalla legge, e parallelamente procedere ad un “accertamento negativo” in riferimento all’assenza di merito del migrante rispetto al godimento della protezione internazionale accordata ai rifugiati.

Alla lacuna lasciata dal legislatore, che ha tralasciato di disciplinare l’impugnazione di questo particolare decreto, subentra la considerazione che trova applicabile “il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi spetta al giudice ordinario, proprio in ragione dell’insistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte dell’amministrazione”. Ciò che ha fatto propendere per l‘estensione tutelativa dei diritti garantita dal giudice ai migranti è intervenuta la circostanza che vede tutte le controversie sorte in materia di protezione internazionale essere di competenza del tribunale ordinario, andando dalla salvaguardia del diritto alla protezione umanitaria, passando per il diritto dello status di rifugiato fino al diritto costituzionale di asilo. Tutte le circostanze menzionate sono infatti riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali che vanno pertanto riconosciuti per legge allo straniero “comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato”. I diritti che sono tutelati dalla Costituzione, ha dichiarato in definitiva la Suprema Corte, “non possono essere degradati a interessi legittimi” di giurisdizione Tar.

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