La liberazione dei clandestini detenuti

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Qualche secolo fa, con le catene di ferro venivano presi a forza e portati via dall’Africa; oggi, con le manette di acciaio sono ripresi a forza e riportati in Africa.

Le catene che vanno e vengono segnano le tappe di questa brutta storia, fatta di cicli e ricicli al contrario. E noi i protagonisti di sempre.

immiCorreva l’anno 1619 quando la prima nave da guerra olandese approdò sulle coste della Virginia con il suo prezioso carico di schiavi africani. Per quasi due secoli gli europei hanno vergognosamente gestito la tratta in America di circa quindici milioni di uomini, incatenati come cani.

Il gospel e gli spitituals che oggi richiamano i turisti di Central Park, una volta, allora, coprivano le urla di disperazione di chi veniva strappato a forza dalla propria terra.

Adesso i giochi si sono invertiti, la vendetta si è consumata implacabile, e gli africani cui noi abbiamo indicato la strada hanno deciso di imporci la loro auto-deportazione.

E’ troppo comodo dimenticare il nostro imbarazzante vissuto.

Lo aveva fatto il D.Lgs. 286/1998 (meglio conosciuto come Legge Bossi Fini) che, introducendo il principio di punizione e costrizione fisica nei confronti degli immigrati che non obbediscono all’ordine di lasciare l’Italia, aveva previsto sino a cinque anni di reclusione per il “reato di clandestinità”.

Cinque anni di reclusione a fronte della irrogazione di semplici pene contravvenzionali per chi, ad esempio, commette il reato di smaltimento illecito di rifiuti!

E di fronte alla feroce diatriba giuridica sulla compatibilità tra questo tipo di legislazione e la Direttiva Europea 2008/115/CE – che invece ammette il trattenimento fisico del clandestino solo per il tempo strettamente necessario alla preparazione della procedura di rimpatrio o all’allontanamento – e la ricerca del difficile punto di equilibrio tra il principio di nazionalità del diritto penale ed il primato del diritto comunitario, brillava il pensiero di chi, tra i nostri senatori del carroccio, chiedeva l’intervento del Ministro Alfano per ribadire che la Bossi-Fini deve essere applicata nella sua interezza, “altrimenti tutti gli stranieri irregolari si riverseranno a Brescia…».

Per fortuna la Corte di Giustizia Europea (Prima Sezione, 28 aprile 2011, proc. C-61/11, El Dridi c/Governo Italiano) ha fugato tante sagaci licenze politiche e definitivamente stabilito che la direttiva 2008/115/CE deve essere interpretata nel senso che la normativa di uno Stato membro non può prevedere l’irrogazione della pena della reclusione per la sola ragione che un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno sia irregolare, abbia violato l’ordine di lasciare il Paese entro un determinato termine.

Oggi tutte le Procure d’Italia si stanno adeguando a questa importante decisione e stanno iniziando a scarcerare, con effetto immediato, i clandestini detenuti.

Si stima che siano circa mille e duecento.

Da Brescia, a Firenze, a Roma – dappertutto – è un tam tam di celle che si aprono, e di porte di ferro che si chiudono dietro le loro spalle, in un suono di libertà che sembra quasi richiamare i perduti tamburi africani…

Anche i processi si interrompono con effetto immediato per ritenuta “abolitio criminis”, e le condanne vengono annullate in applicazione dell’art. 2 del nostro codice penale (nessuno può essere punito per un fatto che non è più previsto dalla legge come reato).

Rimangono i problemi – tanti e complessi sino all’inverosimile – di un esercito di disperati che vaga alla ricerca di un riparo e di una collocazione.

Problemi ricaduti come una trave di marmo sugli abitanti di Lampedusa e sul loro esiguo fazzolletto di terra; quasi fossero divenuti loro le vittime predestinate di una nemesi storica dalle radici profonde.

Capri espiatori di una antica scelleratezza – globalizzata e globalizzante oltre ogni limite umanitario – sono loro a subire le colpe di altri, ed è giusto che siano risarciti, sino in fondo, dall’intero mondo “occidentale”.

Ma se innocenti sono gli isolani di Lampedusa, ancor di più lo sono i clandestini – bambini, che coprono almeno il 10% della popolazione degli immigrati.

immigraTanti sono stati risucchiati dai flutti del mare che divide le due terre – la nostra dei ricchi e la loro dei poveri – con ancora tesa la manino nera che cercava il seno rattrappito d’inedia di una madre uccisa dal gelo di una notte profonda, nel mare blu.

Tanti altri sono sopravvissuti – protetti da Dio o da Allah, non fa differenza – e sono questi che meritano il più grande degli amori, dal più profondo delle viscere della terra…. senza riserva alcuna….di nessuno tipo, razza, religione, o colore di pelle….

Franzina Bilardo

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