La Procura generale ha indagato Rappoccio per associazione a delinquere in quanto secondo l’ipotesi di accusa sarebbe coinvolto, di più, sarebbe l’ideatore e il promotore di un complesso meccanismo fraudolento che gli avrebbe permesso, nel 2010, durante il rinnovo del Consiglio regionale, di essere eletto (cosa poi accaduta), nonché di provare a far eleggere al consiglio comunale di Reggio, nel maggio 2011, Elisa Campolo, la quale, nonostante non sia stata eletta, alle urne ha ricevuto un quantitativo di preferenze importante. Questa procedura gli avrebbe garantito un serbatoio di voti da cui attingere alla futura corsa al Parlamento che aveva in programma.
Rappoccio, che ha goduto dell’aiuto di altri soci, si è avvalso di una società fantasma, la Sud Energia, mediante la quale ha inviato lettere firmate a nome del presidente del Cda in carica ad un nutrito numero di persone. La cosa era semplice, all’interno della lettera non vi era altro che una promessa di assunzione a tempo indeterminato qualora i diretti interessati avrebbero concesso il loro voto ad Elisa Campolo per l’appunto.
Il raggiro, tuttavia, non è finito qui visto che gli è stato ascritto anche il reato di truffa; infatti il consigliere, oltre ad altri indagati naturalmente, avrebbe convinto circa 850 persone ad iscriversi, alla cifra di 15 euro, alla cooperativa Alicante per partecipare, previo altro versamento di 20 euro, ad un concorso che, una volta superato, avrebbe garantito secondo le promesse di Rappoccio reali possibilità di impiego. In questo contesto si prefigura anche il reato di peculato dal momento che per contattare tutti coloro di cui era necessario il voto sono state fatte innumerevoli telefonate dal palazzo comunale di Reggio Calabria presso la sede del gruppo Pri.
La guardia di finanza, dopo aver riscontrato il funzionamento del sordido meccanismo si è espressa così “il rodato e cinico meccanismo di raccolta del consenso elettorale, ideato da Rappoccio e dai suoi sodali, ha operato, pertanto, attraverso le attività di strumentali società che, con l’apparente fine di selezionare aspiranti lavoratori da inserire in fantomatici circuiti produttivi, ne captava e canalizzava il voto violando le norme che regolano le competizioni elettorali e speculando sui bisogni e le aspettative di tanti giovani in cerca di un approdo sicuro che solo un lavoro stabile può fornire per costruirsi un futuro in un territorio, come quello calabrese, connotato da endemici problemi di sviluppo sociale ed economico in quanto afflitto da una invadente e pervasiva criminalità organizzata di stampo mafioso che incide pesantemente sull’esercizio dei diritti fondamentali, ivi compreso quello elettorale, condizionando il voto di una cospicua parte degli elettori”.
La questio è proprio questa, qualora l’accusa regga ai gradi di giudizio e si riveli quindi fondata saremmo di fronte, indipendentemente dai reati penali evinti, ad uno dei più meschini delitti che nel Sud bisognoso di lavoro si possano commettere: promettere un posto in cambio del voto; peccato che arrivi però solo il voto.
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