In Sardegna c’è chi decide di fare lo sciopero della fame e rischia di morire d’inedia.
A Roma c’è chi decide di abbuffarsi e rischia di affogare per bulimia.
I primi rinunciano al cibo per mancanza di soldi. I secondi vanno incontro all’indigestione per i troppi soldi in saccoccia.
La vita è così. Il gioco degli opposti che si incontrano e si scontrano, costretti a convivere più o meno volontariamente per trovare giustificazione l’uno nell’esistenza dell’altro.
Nel nostro caso, peccato che si tratti di tragedia degli opposti ….
Affrontiamo giuridicamente il punto centrale e ripensiamo liberamente al sillogismo logico insegnatoci da Fichte ed Hegel:
Tesi: i contribuenti non pagano il loro debito allo Stato;
Antitesi: Equitalia preleva coattivamente tale debito;
Sintesi: Equitalia non pretende ciò che le è correttamente dovuto, ma va oltre il dovuto “richiedibile”. Se i limiti di questo “dovuto” sono sforati oltre il legittimo ed il lecito, Equitalia potrebbe essere realmente colpevole del reato di usura; usura formalmente legalizzata posto che può ingiustamente usufruire di una inspiegabile tutela statuale.
Sul piano della realtà – quella diffusa su tutto il territorio italiano – la richiamata sintesi è tutt’altro che filosofica ed astratta: ha un volto, milioni di volti, e due occhi, milioni di occhi, che lacrimano sangue e disperazione ….
La constatazione è amara, ma la freddezza dei tecnici ci impone di resistere all’emozione e di pervenire a risultati semplici, chiari, espliciti, soprattutto giuridicamente affidabili.
Fino al 30 settembre 2006, lo Stato ha riscosso le proprie imposte attraverso un sistema vecchio di secoli e già praticato all’epoca della Roma imperiale: l’affidamento in concessione del servizio di riscossione.
Nel tempo il sistema si è andato via via affinando, ma il principio è rimasto sostanzialmente lo stesso: Tu, pubblicano, mi devi assicurare che dalle Province arrivi a Roma, ogni anno, un certo numero di casse di sesterzi. Tu, gabelliere, devi assicurarmi una fornitura costante di un certo numero di navi granarie dalla Sicilia.
Quello che l’esattore riusciva a spremere dalle tasche dei sudditi, al di là del tributo dovuto, era la “remunerazione” del lavoro sporco portato avanti al posto dello Stato centrale.
Era – con un termine antichissimo – l’aggio.
Il D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito in Legge 2 dicembre 2005, n. 248) ha rivoluzionato il sistema: il “lavoro sporco” – la raccolta in un catino delle lacrime e della disperazione della gente – lo Stato ha deciso di farselo da sé per interposta persona!
L’interposta persona in questione è una società di capitale a forma privatistica – Equitalia s.p.a. – cui è stata data la possibilità di diventare Concessionario di Stato con una quota di capitale minima (€ 150.000,00 contro i cinque miliardi di lire interamente versati solo per potere partecipare ad una gara per l’aggiudicazione del servizio di concessione), di camminare nel Sistema con le libertà istituzionalmente concesse ad una società per azioni, di usufruire dei poteri e della prepotenza tipici di un apparato statuale, di guadagnare “come un pascià”…
Il sistema ha finito per diventare tiranno laddove, accanto all’emanazione di leggi che autorizzano un prelievo coatto – manu militari ed al di fuori delle regole della normale “sportività” processuale – è stato mantenuto l’aggio, la cui giustificazione logica era costituita, solo ed esclusivamente, dal rischio che il concessionario privato doveva sostenere per costituire una società con un capitale miliardario, per offrire cauzioni finanziarie pesantissime, per garantire il “riscosso per il non riscosso”, per affrontare l’alea connessa ad un regolare contenzioso giudiziario.
Oggi Equitalia usufruisce liberamente – tra i propri utili d’azienda – di un aggio pari al 9% delle somme iscritte a ruolo e non riscosse entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella. Ed a questo 9% vanno aggiunti i costi della procedura, delle spese di notifica e degli interessi legali e di mora, rimanendo allo Stato il debito riscosso più la sanzione tributaria del 30%.
Risultato: il debito usufruirà di una moltiplicazione degna del più noto miracolo dei pani e dei pesci.
Sul piano strettamente penalistico ci chiediamo: se l’aggio non ha natura tributaria perché non è tecnicamente una imposta e non è neanche una tassa; se è una spesa aggiuntiva che il contribuente paga ad una società per azioni unitamente a tutte le altre spese ed aggravi della procedura; se è un di più rispetto agli interessi legali e di mora comunque riconosciuti; se è un elemento da calcolare ai fini del computo degli interessi e delle spese idonee a fare sforare il tasso usurario; qual è concretamente il tasso di interesse che il debitore è costretto a pagare?
I numeri parlano chiaro: tasso superiore a quello usurario stabilito per legge!
Ma se così è – perché così dicono i numeri – è forse diffamatorio dire che Equitalia esercita usura di Stato, ossia formalmente autorizzata per legge?
Accusa infamante o semplice constatazione materiale?!
Franzina Bilardo
Luciano Taurino
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