Come sbagliano i media nel raccontare i sinistri stradali

Massimo Quezel 07/04/23
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Cosa c’è di “sbagliato” nel modo con cui si fa comunicazione in merito ai sinistri automobilistici? Dove e come sbagliano giornalisti della televisione e della carta stampata quando parlano di vicende legate a scontri tra veicoli, in particolare con riferimento a chi ne rimane vittima e a chi li causa?

Il libro “Il valore delle parole – La narrazione sbagliata degli scontri stradali” edito da Giunti e curato da Stefano Guarnieri, ci dà una risposta chiara su questo tema, e si propone anche di spiegare perché è importante cambiare il modo di parlare di questi avvenimenti.

Guarnieri, del resto, è senz’altro particolarmente sensibile all’argomento: fondatore dell’”Associazione Lorenzo Guarnieri” (presieduta dalla moglie Stefania Lorenzini e nata in memoria del figlio scomparso a causa di un sinistro stradale nel 2010) negli ultimi anni si è dedicato con grande impegno all’attività di sensibilizzazione dei cittadini, in particolare i più giovani, sul tema della sicurezza stradale.

Per aiutarci a capire dove sbagliano i media quando parlano di sinistri stradali ci vengono in aiuto gli illuminanti approfondimenti svolti dal nutrito gruppo di autori che hanno collaborato a questo libro (Simona Teresa Mildret Bandino, Maddalena Carbonari, Anna Maria Giannini, Elisabetta Mancini oltre a Stefano Guarnieri e Stefania Lorenzini).
Per riuscire a parlare in modo obiettivo ed efficace di sicurezza stradale è necessario cambiare un linguaggio che tende ad allontanare il pubblico dalla reale, e tragica, portata dei sinistri stradali.

Frasi come auto impazzita investe un pedone, oppure ennesima vittima della strada killer risultano del tutto fuorvianti e tese a svilire, se non banalizzare la realtà dei fatti. Non è un’auto impazzita ad investire il pedone, ma il conducente di quell’auto. Non è la strada killer ad aver tolto la vita alla vittima, ma chi ha posto in essere un comportamento sbagliato alla guida, magari non osservando la giusta velocità su una strada particolarmente insidiosa.

Il termine stesso “incidente” stradale è sbagliato e fuorviante. L’incidente, per definizione, è qualcosa che accade a prescindere dal controllo dell’uomo. Eppure, la quasi totalità dei sinistri stradali sono dovuti a comportamenti che potrebbero essere evitati. Quindi tutt’altro che “incidenti”. E sarebbe il caso di definirli con un termine più appropriato e aderente alla realtà, come “scontri stradali”. 

Altrettanto censurabile è la tendenza, specie sulla carta stampata, a spettacolarizzare le conseguenze lesive e le dinamiche di accadimento dei sinistri usando termini come il motociclista è volato in aria a seguito dell’impatto, oppure per il poveretto non c’è stato più niente da fare o anche, in una sorta di gara per impressionare il lettore (e attirare la sua attenzione) il pedone è rimasto spappolato a causa del violentissimo impatto. Un linguaggio ad effetto ormai diventato di uso comune.

Tali scelte di stile hanno ripercussioni profonde sul nostro modo di percepire queste tragedie. Dire veicolo impazzito invece di “conducente che viaggiava a forte velocità” comporta il deresponsabilizzare l’autore dell’illecito, il cui comportamento invece andrebbe censurato con fermezza. Commiserare la vittima del sinistro definendolo “poveretto” o “malcapitato” svilisce la persona e ne dà una rappresentazione quasi macchiettistica.

Infine, l’uso di espressioni da film horror come “spappolato” o straziato denota, ancora una volta, una totale mancanza di empatia e di rispetto verso la vittima del sinistro e i suoi cari.

Interessante anche l’approfondimento sul concetto di “disimpegno morale”, ovvero il rendere socialmente accettabili condotte che normalmente non dovrebbero esserlo, attenuando i sentimenti di colpa di chi le pone in essere. Con riferimento ai sinistri stradali, ciò si verifica con grande facilità quando si utilizzano espressioni verbali inadeguate.

Per non parlare della comunicazione pubblicitaria nel settore automotive che, secondo gli autori, propone al pubblico l’illusione di una realtà che non esiste. Un modo di fare advertising che non ha più l’obiettivo di porre in risalto i benefici funzionali di una autovettura, ma che punta quasi esclusivamente sull’impatto emotivo sul pubblico: strade deserte, forte enfasi al concetto di velocità e al divertimento alla guida, mentre sono quasi nulli i riferimenti ai principi di prudenza e guida sicura.

Il libro si conclude con una serie di indicazioni che carta stampata e televisioni dovrebbero osservare al fine di evitare che la comunicazione sbagliata determini ulteriori danni nei confronti delle vittime. Oltre all’uso di termini più adeguati e coerenti, senza inutili iperboli, l’autore richiama l’importanza di una maggiore coerenza nella narrazione di queste vicende, ricordando sempre quale impatto possano avere le parole scelte (e le foto pubblicate) su amici, parenti e conoscenti delle vittime. Inoltre, viene sottolineata l’importanza di non fornire pareri improvvisandosi esperti, ma di ricorrere, piuttosto, all’ausilio di specialisti (evidentemente periti e consulenti che abbiano conoscenza di questa delicata materia) al fine di poter descrivere con obiettività l’accaduto.

Senz’altro questo libro aiuta il pubblico a maturare una maggiore consapevolezza su queste tematiche, consentendo di riservare il doveroso rispetto e riconoscere la dignità per le vittime di sinistri stradali, senza inutili spettacolarizzazioni e nel rispetto del valore della vita.


(Foto di copertina: istock/Paolo Cordoni)
 

Massimo Quezel