Riforma della legge elettorale, tra esigenze di governabilità e frammentazione dei partiti

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Mai una profezia fu tanto vera quanto quella che Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha messo sulle labbra di Tancredi Falconeri, uno dei personaggi più importanti e più ambigui del suo romanzo, Il Gattopardo, per descrivere la situazione storica della Sicilia nell’imminenza dell’unificazione nazionale: “se tutto deve rimanere com’è, è necessario che tutto cambi”. Forse, però, Tomasi di Lampedusa aveva intravisto anche la situazione italiana al momento della discussione della nuova legge elettorale che dovrebbe mandare in soffitta il Porcellum.

In data 11 ottobre 2012, la Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica ha deciso di adottare, quale base per la prosecuzione dell’esame dei disegni di legge in materia elettorale, un testo unificato presentato dal senatore Lucio Malan (Pdl). Si tratta di una proposta di impianto proporzionale sulla quale non è comunque stata raggiunta l’unanimità. La bozza prevede un sistema proporzionale corretto: i seggi sono attribuiti in ragione proporzionale su base nazionale alla Camera dei Deputati e su base circoscrizionale al Senato. Ora, com’è noto e come ha dimostrato l’esperienza italiana (pensiamo al secondo Governo Prodi), il più grande problema per un sistema di questo tipo è la frammentazione dei partiti che determina la difficoltà di aggregare una maggioranza parlamentare in grado di sostenere un Governo. E qui sta l’intoppo, perché il disegno di legge unificato in discussione al Senato prevede uno sbarramento unico del 5% il quale però, per i partiti coalizzati, scende al 4%. Se uno sbarramento deve funzionare, ha sostenuto in un suo recente intervento il prof. Giovanni Sartori,è evidente che  le coalizioni elettorali devono essere vietate”. Pertanto, per renderlo efficace, giacché da esso dipende la semplificazione del quadro partitico, è almeno opportuno, qualora si voglia mantenere la possibilità di coalizione, che esso sia uniforme, sia nel caso che la lista si coalizzi, sia nel caso in cui essa non si coalizzi, poiché altrimenti l’allearsi a forze più grandi sarebbe solo un pretesto per superare lo sbarramento, consentendo in questo modo alle forze al di sotto di tale percentuale di mantenere un potere di ricatto nei confronti di quelle con maggiore bacino elettorale.

Analogo problema sorge, inoltre, per il premio di maggioranza fissato al 12,5% (76 deputati e 37 senatori), che è attribuito non solo al singolo partito, ma anche ai partiti coalizzati. In questo modo, con un premio alla coalizione, si favoriscono maggioranze elettorali più per prendere voti, che per assicurare al Paese un Esecutivo stabile e duraturo. E’ già accaduto nelle due recenti tornate elettorali: nel 2006 con Romano Prodi e nel 2008 con Silvio Berlusconi. Si può facilmente concludere, allora, come il testo base altro non faccia che ricalcare l’impianto elettorale ora vigente, venendo a mutare solamente l’entità del premio di maggioranza, la soglia di sbarramento unica per Camera e Senato e l’introduzione delle preferenze con clausole di genere, ma senza l’inserimento di misure efficaci volte ad assicurare quella governabilità di cui l’Italia ha un’urgenza improcastinabile.

Daniele Trabucco

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