Province, nessuna riforma senza voto di fiducia. Cambia il ddl Delrio

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Giornata decisiva per il ddl Delrio, anche se, ormai è certo, l’approvazione definitiva non arriverà oggi al Senato. Il governo, infatti, ha deciso di mettere la fiducia al maxiemendamento presentato a palazzo Madama dopo le sbandate di ieri da parte della maggioranza, provocando, così, la necessità di un ulteriore passaggio alla Camera per il provvedimento destinato a ridisegnare le Province.

Questa mattina, di buon’ora, si è riunito il Consiglio dei ministri – assente il presidente del Consiglio Renzi – dove è stato deliberato di porre la questione di fiducia al testo finale presentato in aula a palazzo Madama sul riordino delle province. In questo modo, dunque, il provvedimento si è trasformato in un unico maxiemendamento a cui il governo lega la sua stessa sopravvivenza: una decisione indubbiamente dettata dalle fibrillazioni di ieri.

Non erano bastate, infatti, le due battute d’arresto in commissione per il disegno di legge che riformerà le province, a mettere in serio pericolo l’approvazione. Il vero scossone è arrivato nel tardo pomeriggio, quando si è tenuto il voto sulle pregiudiziali di costituzionalità, primo, vero, banco di prova del ddl Delrio al cospetto del Parlamento. L’esito, per la maggioranza, è stato a dir poco sconfortante, con soli 3 voti di vantaggio a sventare la questione mossa dal MoVimento 5 Stelle, il quale, improvvisamente rinvigorito, ha confermato di voler dare battaglia fino all’ultimo.

Con cinquanta voti in meno del suo serbatoio naturale, dunque, la maggioranza ha iniziato a temere per il destino di una legge fondamentale per il suo cammino, che porta il nome del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, firmatario nella vecchia veste di ministro per gli Affari Regionali del governo Letta. Così, stamane, il primo atto del governo – seguito di pochi minuti dal tweet del premier sulla “giornata cruciale” in materia di enti provinciali – è stato proprio quello di blindare il testo del ddl con il voto di fiducia.

L’atto di forza compiuto dal governo, ovviamente, non cancella le più variegate perplessità susseguite negli ultimi mesi sul reale impatto del ddl sia in termini di sussidiarietà, che in quelli di risparmio reale. Le bocciature più sonore sono quelle arrivate dalla Corte dei Conti, anche se, negli ultimi giorni, dubbi sono stati espressi anche dal Servizio bilancio del Senato. Dall’altra parte, invece, rimangono i detrattori della riforma perché considerata troppo morbida, volendo trasformare le province in enti di secondo livello, non più elettivi ma ancora in funzione.

Sull’accelerazione impressa dall’esecutivo, invece, sembra smentita la minaccia del voto per il rinnovo dei consigli provinciali in caso di mancata entrata in vigore del ddl: già la legge di stabilità, infatti, avrebbe prorogato i commissariamenti in atto al prossimo 30 giugno, scongiurando, di fatto, l’indizione dei comizi elettorali.

Nel frattempoperò, lo stesso Renzi difende il ddl, ricordando che, con l’approvazione della riforma, circa 3mila politici smetteranno di ricevere un’indennità dallo Stato. Argomento, però, rivelatosi insufficiente a convincere i grillini, tanto che è proprio il MoVimento 5 Stelle ad avanzare la proposta di un nuovo ddl costituzionale. Obiettivo, non solo la riorganizzazione dei livelli di governo, ma la scomparsa tout court del termine province dal testo costituzionale. Intervento ben più radicale e che richiederebbe tempi ben più dilatati per il suo iter di approvazione. Margine troppo ampio però, per l’orizzonte del governo Renzi: le elezioni europee, infatti, sono sempre più vicine, e il presidente del Consiglio, nonché segretario del Pd, vuole arrivarci con il bottino pieno, almeno di annunci.

Francesco Maltoni

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