Il decreto 95/2012, testo su cui si basa la spending review, contempla per le università una riduzione al 20% del turnover nei prossimi 36 mesi e un blocco sostanziale delle assunzioni a lungo termine. Non certo una buona notizia per un settore dove ancora si sta cercando di assorbire la “botta” della riforma Gelmini. Tra accorpamenti, tagli al personale e generale riduzione dei fondi, la stretta dell’ultimo governo politico del Paese aveva già messo a dura prova professori e personale amministrativo.
Ora, la nuova mazzata della spending review, che colpisce mentre le aule universitarie si apprestano a chiudere i battenti per le ferie estive, in attesa del nuovo anno accademico. Un periodo ponte nel quale, però, è già in rodaggio il nuovo sistema di abilitazioni per i ruoli della docenza universitaria. Nato allo scopo di ridurre le file degli insegnanti da 60 a 54mila, il meccanismo rischia adesso di incepparsi sulla nuova stretta alle assunzioni nel comparto docenti definita nella revisione di spesa.
Non si è fatta aspettare, di fronte a queste nuove misure, la protesta degli addetti ai lavori, che dal megafono della Conferenza dei rettori, monta anche dal versante accademico in opposizione alle lame della spending review. In particolare, i rettori attaccano il nuovo riassetto del personale docenti: “Chiediamo l’innalzamento del tetto del turnover dal 20% al 40%, indispensabile per consentire le assunzioni di giovani ricercatori, di professori e di personale tecnico-amministrativo, volte a garantire – affermano i rettori – la sostenibilità dell’offerta formativa e delle attività di ricerca e innovazione all’altezza delle sfide europee”.
Se i professori piangono, gli studenti non hanno vita migliore. Sempre in orbita spending review, infatti, non sfugge l’innalzamento della cosiddetta “contribuzione studentesca” che dà la precedenza alle tasse versate dagli studenti in corso, poiché saranno queste le uniche considerate nel tetto del 20% per l’aumento delle somme d’iscrizione. Tradotto: i fuori corso potrebbero trovarsi improvvisamente a pagare molto di più. Una mossa anti-bamboccioni, quella del governo, che però va a toccare proprio la maggior fonte di introito per un ateneo, gli emolumenti dagli iscritti più “anziani”.
Ma le cattive notizie, per il settore scolastico-formativo, non sono finite. Un nuovo allarme arriva, infatti, dall’annunciato riordino delle Province, che metterebbe in serio pericolo l’apertura dell’anno scolastico 2012/2013. Una tesi che prende le mosse dal limite di 40 giorni per definire i futuri accorpamenti: un termine che andrebbe giocoforza a incidere su alcune funzioni precipue delle amministrazioni provinciali, come appunto la scuola.
I tagli della spending review, insomma “non ci mettono nelle condizioni di poter assicurare l’apertura dell’anno scolastico“, sbotta Giuseppe Castiglione presidente Unione Province Italiane. “Chiediamo un termine più congruo, non 40 giorni. Ok a dimagrimento, ma non si può incidere su temi come occupazione o edilizia scolastica”.
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