La scienza a servizio dell’investigazione e della giustizia: parola all’esperto

Redazione 05/12/15
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del Dott. Eugenio D’Orio

Prendendo spunto da quanto detto dall’ Avv. Stefani in una precedente intervista rilasciata a “Giustizia caffè”, quest’articolo si propone di fare un focus su ciò che realmente e fattivamente la scienza è in grado di offrire alla giustizia.

E’ ormai noto a tutti quanto il progresso dei processi tecnico-scientifici abbia portato alle luci della ribalta l’esame del DNA, il codice su cui è “scritta” la nostra vita. Va precisato che esami specifici sul DNA, validati a livello scientifico internazionale, sono stati accreditati solo negli ultimi 20 anni! Basti pensare che il premio nobel per la PCR, tecnica che permette l’amplificazione del DNA, e ne rende possibile il successivo studio ed esame, è stato assegnato solo nel 1993! Da quel momento in poi vi è stato il “boom” del settore genetico-molecolare, che permette analisi sempre più rapide, efficienti ed economiche del DNA. Ma si deve sapere che questo boom non si è certo avuto con il fine di supportare la giustizia, bensì con il fine di ampliare le conoscenze in merito alla complessità delle forme viventi e, successivamente, l’avvento dell’ingegneria genetica ha permesso la creazione degli OGM e, attualmente, si procede molto in senso “clinico”, cioè si indagano le cosiddette malattie genetiche e si sta sviluppando la farmacogenomica.

Tuttavia ci si è resi conto che l’esame del DNA è utilissimo anche nel settore giustizia, ma ne è stato inizialmente commesso un abuso, in quanto, essendo la tecnica più evoluta scientificamente al momento, sino a pochi anni fa, soprattutto in Inghilterra e in America, la si è spesso erroneamente accreditata come “ fonte di verità indiscutibile…oltre ogni ragionevole dubbio”, come si è soliti dire qui in Italia. Recentemente l’Inghilterra ha emesso una modifica legislativa con la finalità di arginare questo abuso, in quanto, in molteplici processi, soggetti indagati erano stati riconosciuti colpevoli solo perché “colpevolizzati dalla prova scientifica”, senza alcun elemento investigativo a loro carico. La riapertura o il prosieguo delle indagini in tali casi hanno portato alla scoperta dell’innocenza di questi soggetti indagati ed erroneamente condannati.

Tutto questo conferma quanto di preciso detto dall’ Avv. Stefani, il quale ha chiuso il suo intervento auspicando una divulgazione della cultura investigativa. Da genetista forense e crime scene investigator devo necessariamente concordare con quanto auspicato dall’ Avv, tuttavia mi sento, a mia volta, di auspicare una co-divulgazione dell’investigazione classica con l’investigazione scientifica propriamente detta. Tutto ciò con il fine di assicurare quanti più elementi utili a fini processuali, ma soprattutto assicurarne la genuinità! Mi spiego meglio a tal proposito: classicamente la figura del genetista è vista come quella di un professionista legato in tutto e per tutto al laboratorio e delegato a fare i delicati esami di indagine del DNA; diversamente, lo sviluppo scientifico sta portando (in Inghilterra già è così, e mi auguro che lo stesso avvenga quanto prima anche qui in Italia) alla formazione della figura del biologo specializzato in genetica forense che deve necessariamente essere anche un crime scene investigator per svolgere in maniera eccellente il proprio compito. Infatti a farla da padrone in ambito processuale non deve essere il solo risultato che si è ottenuto dagli esami genetici, ma è importantissimo, soprattutto per il diritto alla difesa e come forma di garanzia della giustizia, che la genuinità del lavoro degli operatori specifici del settore inizi proprio sulla scena criminis, ove avviene il repertamento di oggetti, tessuti ecc. che verranno successivamente inviati al laboratorio per le analisi genetiche, balistiche, dattiloscopistiche, grafologiche, tossiche ecc. E’ dunque di fondamentale importanza fare focus sull’aspetto del lavoro sulla scena criminis, altrimenti, con un inquinamento “a monte”, il risultato ottenuto “a valle” ( ossia l’esame del DNA e tutti gli innumerevoli accertamenti scientifici) può non essere effettivamente valido a fini processuali, la cosiddetta nullità della prova, per capirci.

Facciamo qualche esempio attuale: il caso Merderith, come confermato anche dall’Avv Stefani, è l’esempio di come la prova scientifica non sia utilizzabile in sede processuale non perché l’esame tecnico-strumentale non sia andato a buon fine, o presenti delle carenze, bensì per “clamorosi errori” commessi sulla scena criminis in fase di repertamento che hanno provocato la possibile contaminazione del reperto in oggetto (mi riferisco al gancetto del reggiseno). Credo che questo caso confermi quanto da me precedentemente espresso, ossia la necessità, a titolo di garanzia per il corretto corso della giustizia, della figura di un biologo forense che non sia solo presente nei laboratori, ma che attivamente partecipi e dia istruzioni di lavoro sulla scena criminis, dalle fasi di repertamento, alle fasi di prevenzione della contaminazione, alle fasi che assicurano il corretto svolgimento della catena di custodia del reperto in oggetto e anche in fase di ricerca di indizi e di particolari tecniche scientifiche eseguibili sulla scena del crimine che sono di grandissimo aiuto nella ricostruzione della crimodinamica dell’evento delittuoso indagato.

Se tutti i fattori analitici che vanno dall’indagine preliminare sino all’emissione e alla valutazione dei risultati ottenuti sono svolti in maniera ottimale e su di essi vi è anche la garanzia di un professionista specifico, allora il risultato emerso dall’esame del DNA (ma non solo!) diventa un elemento certo, la cui veridicità è inoppugnabile in sede processuale.
Ma è opportuno precisare che, il fatto che il DNA di un soggetto indagato sia presente sulla scena criminis, non per forza è indice della colpevolezza di questo soggetto! In quanto è molto importante ai fini giudiziario-valutativi, non solo di chi sia il DNA in oggetto, ma anche da quale specifico tessuto corporeo provenga!!! Per esprimere meglio questo concetto riporto brevemente un esempio pratico: caso XXX in cui un padre è indagato per il reato di pedofilia ai danni del figlio minorenne, sul pigiama del bambino vengono ritrovate microtracce biologiche (accertamento irripetibile visto lo scarso quantitativo del materiale biologico), si consuma tutta la microtraccia per determinare di chi è il DNA, ossia estrarre il profilo genetico…. Risultato: il DNA è del padre, ma è sufficiente questo elemento per condannarlo? Assolutamente no! Perché il padre può tranquillamente spiegare alla corte il perché il suo DNA sia sul pigiama del figlio dato che questi vivono nel medesimo nucleo abitativo; se invece si fosse utilizzata parte della traccia per fare “l’analisi di genere”, ossia quell’esame che indaga da quale tessuto biologico specifico proviene quella traccia lo scenario sarebbe cambiato nettamente, in quanto, se quella traccia si fosse rivelata essere di natura spermatica, per il padre sarebbe stata veramente dura spiegarla “oltre ogni ragionevole dubbio” innanzi alla corte e non essere condannato!!! Spero di aver reso il concetto chiaro anche per chi non è del settore scientifico.

Discorso diverso, ahimè, va fatto per ciò che si è soliti chiamare in termini giurisprudenziali “accertamento irripetibile”, infatti questo è un caso di analisi tecnico-scientifica estremamente particolare in quanto l’analisi comporta una irreversibile modificazione della traccia (spesso microtraccia) rendendo tale analisi non più ripetibile in futuro. In merito a questo aspetto, l’Avv Stefani auspica una “refertazione in doppia copia”, in maniera tale da ovviare a tale problematica; per quanto attiene le mie competenze devo necessariamente precisare che molto spesso le microtracce, talvolta anche latenti, sono presenti in quantità minuscole sulla scena criminis, ragion per cui è fisicamente impossibile una repertazione in doppio. Ma, siccome si parla di scienza e legge, va detto che ovviamente il caso del DNA non è il solo che incappa nella modalità degli accertamenti irripetibili, infatti, in balistica, il repertamento delle micro particelle di polvere da sparo dalle mani del presunto offender è anch’esso sempre e solo un accertamento di natura irripetibile! Qui bisogna fare un’opportuna distinzione, infatti è irripetibile solo la parte del prelievo dal soggetto indagato, ma non i successivi esami di analisi chimico-analitica!

Mi piacerebbe anche discutere in merito al caso di Yara Gambirasio, in quanto quel processo è molto basato su elementi scientifici, tuttavia mi astengo dal farlo in questa sede perché è ancora in corso.
Per concludere, la scienza offre e continuerà ad offrire alla giurisprudenza e alla giustizia infiniti elementi utili, i quali possono essere “schiaccianti” o comunque sufficienti per insinuare il “ ragionevole dubbio” in fase dibattimentale, in quanto possono offrire una “lettura” diversa dell’azione svoltasi sulla scena criminis. A mio giudizio è di estrema importanza per l’Italia tenersi al passo con i progressi scientifici che l’Europa e il mondo costantemente conoscono, ed è palese, come in tutta l’UE, il settore di analisi della scena del crimine e analisi tecnico scientifica dei reperti è affidato ad un team multidisciplinare di professionisti, i quali cooperano, ognuno con le proprie specifiche competenze, al fine di assicurare bontà e qualità del lavoro svolto e che si ponga come sorta di garanzia bilaterale, sia in tutela dell’accusa, sia in tutela della difesa.

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