Rigor Montis: stop alle spese folli nella P.A.

Luigi Oliveri 09/02/12
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Pranzi, cene, convegni, seminari, eventi, stampe, brochures, consulenze, spese di rappresentanza e comunicazione.

Un pozzo senza fondo di spese delle pubbliche amministrazioni, difficilmente controllabile nell’entità e nelle finalità, ben rappresentato dal caso delle uova di struzzo costate oltre tremila euro, regalate dall’Agenzia del territorio per “rappresentanza”.

Il Presidente del consiglio, proseguendo nell’opera di contenimento della spesa e, forse, proprio indotto dal volume enorme di spese di rappresentanza, convegni e comunicazione dell’Agenzia del territorio (accertato da un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano), con una sua direttiva cerca di mettervi definitivamente la parola fine.

Potrebbe essere un passo verso il definitivo ripensamento dell’applicazione della legge 150/2000, “Disciplina delle attivita’ di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”.

La propensione degli organi politici, ma anche dei superdirigenti di chiara provenienza politica posti a capo di agenzie, enti e società, ad abbondare in iniziative volte alla “visibilità” è sempre stata molto forte. Visibilità significa captazione di consenso, utilissimo sia per le elezioni, sia per la costruzione di una rete di amicizie e favori, da suggellare anche con lauti banchetti, seminari nei quali ospitare e gratificare come relatori i destinatari dell’interesse alla captatio benevolentiae, nonché con “spese di rappresentanza” ben concrete e di valore.

La legge 150/2000, però, figlia di un’epoca che ormai sembra passata, l’inizio degli anni 2000, a pochissima distanza da quell’ingresso nell’Euro che fece ritenere superati i problemi di finanza e debito pubblico, ha definitivamente aperto le cateratte di un fiume di spesa senza più controllo.

All’epoca si partì dallo slogan che la pubblica amministrazione comunicava poco e male e che la comunicazione della propria attività fosse parte integrante delle proprie funzioni. In linea di principio, argomentazioni ineccepibili. Nei fatti, però, quella norma ha aperto legittimato spese ed iniziative che prima, per quanto effettuate egualmente, non avevano un “titolo” giuridico. L’articolo 2, comma 1, ad esempio, di tale deleteria legge, dispone: “Le attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni si esplicano, oltre che per mezzo di programmi previsti per la comunicazione istituzionale non pubblicitaria, anche attraverso la pubblicità, le distribuzioni o vendite promozionali, le affissioni, l’organizzazione di manifestazioni e la partecipazione a rassegne specialistiche, fiere e congressi”. Dunque, costi per pubblicità su giornali, radio, televisioni, organizzazioni di manifestazioni e kermesse i più vari, spese per partecipazioni a fiere di ogni sorta (ma spesso, pochissimo frequentate dai cittadini, fruitori veri dei servizi delle pubbliche amministrazioni) hanno trovato ragione e “spinta” da questa norma.

Tanto che moltissimi amministratori hanno pensato di poter trasformare le funzioni degli enti in quelle di società editrici, a forza di voler produrre libri, volumi, brochures, pieghevoli, di ogni sorta; o società di comunicazione, con l’organizzazione di manifestazioni, eventi, congressi e tanto di servizio di hostess, katering, riprese ed ogni altro contorno. E più un ente si impegnava in questi ambiti, più gli altri gareggiavano a “comunicare meglio”, in una competizione finalizzata a dimostrare chi meglio si esibisse verso il pubblico.

Sempre la legge 150/2000 ha regolato o, forse, meglio dire “sdoganato” e messo l’ombrello sulle figure del “portavoce” e dell’addetto stampa. Dando così la stura a incarichi e spese ingentissime per assumere in quantità elevatissima queste figure, tanto che presso i gabinetti di alcuni presidenti di regioni e sindaci operano più giornalisti di quelli che si possono incontrare nelle redazioni di giornali veri e propri. Che dietro la legge 150/2000 vi fosse l’intento di regolarizzare, a spese dell’erario, la posizione di tanti addetti stampa chiamati a collaborare con i partiti ed i politici con forme di lavoro a dir poco precario, non era un mistero per nessuno.

Sta di fatto che, come sempre, un principio giusto, comunicare correttamente con i cittadini, è stato piegato e travisato, ad uso della fabbrica del consenso e delle prebende, a forza di seminari su tutto lo scibile, prodotti dando incarichi di consulenze a profusione e senza sostanzialmente mai verificare con seri feedback l’efficacia del messaggio, la sua penetrazione, la sua comprensibilità per i cittadini.

Già nel 2010 il legislatore ebbe occasione di occuparsi di questo vasto e multiforme mondo delle “spese di comunicazione e rappresentanza”, con l’articolo 6, commi 7 e 8, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, imponendo di ridurle dell’80% rispetto al 2009, trattamento esteso anche alle consulenze.

E’ sembrato piuttosto evidente che tale norma sia rimasta abbastanza sulla carta. Anche perché le sezioni regionali della Corte dei conti, chiamate ad interpretare le disposizioni dettate in modo oggettivamente confuso ed impreciso, ha posto in essere interpretazioni piuttosto complesse, macchinose e contraddittorie, tali, comunque, da ammettere così tante eccezioni ai limiti di spesa normativamente imposti, da lasciare spazio a ampie disapplicazioni.

L’attuale Governo, proprio in presenza delle uova di struzzo, non ha messo la testa sotto la sabbia ed ha rincarato la dose. La direttiva del Presidente del consiglio mira espressamente, infatti, non solo ad assicurare “la puntuale e sicura osservanza dei limiti di spesa fissati dalle norme”, perché vuole andare oltre. Intento della circolare è “evitare spese non indispensabili o non ricollegabili in modo diretto ed immediato ai fini pubblici assegnati alle singole strutture amministrative, astenendosi dall’effettuare spese di rappresentanza, ed evitando di organizzare convegni, o altri eventi non strettamente indispensabili”.

Per la prima volta un atto “ufficiale” si spinge oltre la questione meramente finanziaria, ammettendo le tipologie delle spese per “comunicazione istituzionale” ma entro determinati tetti. La direttiva invita – correttamente – le pubbliche amministrazioni a riflettere sulla circostanza che spese per consulenze, convegni, rappresentanza non costituiscono espressione diretta della propria missione e funzione: sono, per loro natura, spese non indispensabili. La regola, dunque, non è affrontare tali spese, ma evitare di erogarle. Il convegno, l’evento non sono oggetto principale dell’azione delle amministrazioni attive. Il ministero, l’agenzia, la regione, il comune, la provincia, se interessate ad approfondire il tema delle pari opportunità non è utile organizzino essi il convegno sul tema. Ci sono già università ed enti di ricerca: basta concordare con essi, nell’ambito delle loro attività di ricerca, temi di approfondimento demandando loro l’organizzazione, perché nel caso degli enti preposti a ricerca e didattica convegni e ricerche sono il core business.

Stesso rigore anche per le “spese di rappresentanza”, un insieme mai legislativamente definito, nel quale ha finito per rientrare di tutto: dalla spilla ricordo, al libro, alla medaglia, al pranzo, alla cena, fino al celeberrimo uovo di struzzo decorato a mano. Anche in questo caso, la direttiva del Presidente Monti è draconiana: “occorrerà, in linea generale, astenersi con estremo rigore dall’effettuare ogni spesa di rappresentanza. Solo in casi del tutto eccezionali, riferibili a rapporti con Autorità estere, si potranno effettuare, comunque previa espressa autorizzazione, spese di modico valore”.

Difficile, stavolta, non convenire con le indicazioni del Presidente del consiglio Un solo interrogativo si pone: è giusto chiedersi, visto l’insuccesso di precedenti discipline normative, se non sia il caso di corroborare il rigore della direttiva, con una legge più chiara e precisa, che ponga in maniera caustica questi divieti e ripristini, almeno per questi temi (solo per cominciare) controlli preventivi, quei controlli preventivi tanto vituperati, la cui improvvida e frettolosa eliminazione operata dalle leggi Bassanini, all’opposto degli effetti di maggiore efficienza e responsabilizzazione della pubblica amministrazione, è stata origine e fonte dei tanti, troppi problemi che affliggono l’amministrazione pubblica in Italia.

Luigi Oliveri

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