Proprio la norma più odiata, inserita in fretta e furia nel decreto salva Italia a fine 2011 e approvata in due sessioni lampo in parlamento a ridosso del Natale, con l’appoggio di quasi tutti i partiti, potrebbe finalmente vedere modificate alcune delle linee guida che hanno generato il buco nero del welfare negli ultimi anni.
Esodati, Quota 96, pensionamenti in ritardo, blocco delle indicizzazioni e ricorsi a non finire sono solo alcuni di tantissimi grattacapi generati da una legge scritta per risparmiare ma che, forse, ha creato più grane che soluzioni. In ogni caso, qualsiasi cambiamento nella legge sulle pensioni, passa attraverso la modifica di questa legge che, a detta di molti, ha contribuito a evitare il default dei conti pubblici mentre l’Italia era sotto attacco dello spread, pur dando vita a una lunga serie di inconvenienti e veri e propri drammi sociali tuttora irrisolti.
Così, a margine del Consiglio dei ministri che ieri ha dato il via libera al decreto sblocca rimborsi, il presidente Renzi ha finalmente rotto il silenzio su questo tema così delicato. Da mesi nei due rami del Parlamento sono ferme alcune proposte di legge volte a rivedere i meccanismi della legge e il governo, fino a oggi, non ha dedicato alcuna attenzione al problema.
Ma, vuoi per le imminenti elezioni regionali, vuoi per il caso della sentenza della Consulta, ora le pensioni sono tornate in vetta ai pensieri dell’esecutivo tanto che, nella foga del nuovo decreto da 2 miliardi che garantirà restituzioni molto parziali a tutti coloro che hanno sofferto lo stop alle rivalutazioni, è arrivato a promettere la controriforma Fornero entro il 2015.
Così cambierà la legge
E ieri, il governo non si è limitato a una semplice promessa di modifica della normativa. Anzi, il presidente del Consiglio si è lanciato in un piano dettagliato in cui intenderebbe, di concerto con i ministri Padoan e Poletti, avviare la restaurazione del sistema pensionistico.
Obiettivo non è quello di riportare indietro le lancette a prima del 2011, ma di introdurre alcuni correttivi per consentire, a chi ne avesse l’intenzione, di lasciare il lavoro anzitempo. E’ l’idea del pensionamento anticipato con penalizzazione, recentemente rilanciata anche dal presidente Inps Tito Boeri.
La nuova flessibilità sarà generalizzata, sia per i lavoratori ancora sottoposti al sistema retributivo quanto per coloro che usufruiranno del regime misto contributivo-retributivo.
Dovrebbe essere consentito, ha assicurato il premier, lasciare il lavoro già a 61 anni: logicamente, maggiore sarà l’anticipo, più alto sarà il sacrificio nell’assegno percepito. Allo stato attuale, i requisiti minimi per andare in pensione sono pari a 66 anni e 3 mesi per uomini e donne (con almeno 20 di contributi), con eccezione delle lavoratrici nel settore privato, che possono ritirarsi dal lavoro a 63 anni e 9 mesi. Alternativamente, sono necessari 42 anni di contributi Inps alle spalle.
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