Riforma Codice Amministrazione Digitale: transizione, modalità operativa digitale, fiducia degli operatori

Redazione 12/10/16
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di Fabio Trojani (*)

(*) Segretario comunale, specialista in diritto amministrativo. Avvocato, docente in corsi di formazione presso aziende ed enti pubblici in tema di digitalizzazione amministrativa

1 – La transizione alla modalità operativa digitale: dalla centralità della posizione del cittadino ai diritti di cittadinanza digitale

Con la legge 124/2015 (cd. Legge Madia) il Governo è stato delegato a modificare e integrare il codice dell’amministrazione digitale – CAD, di cui al d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, “al fine di garantire ai cittadini e alle imprese, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il diritto di accesso a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale, nonché al fine di garantire la semplificazione nell’accesso ai servizi alla persona”.

Il legislatore sulla cittadinanza digitale e sulla transizione alla modalità operativa digitale, al fine di favorire un nuovo processo di innovazione e di crescita, in un momento in cui occorre razionalizzare le risorse pubbliche e favorire la semplificazione delle relazioni tra PA e tra enti e cittadini / imprese.

La scelta del Parlamento non è stata quella di riscrivere l’intero corpo delle disposizioni in tema di digitalizzazione amministrativa (che in alcuni casi rimangono ancora frammentate e a volte di difficile ricostruzioni), ma di mantenere l’impianto normativo consolidato (ossia il d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82 – CAD), apportando allo stesso – come detto – modifiche ed integrazioni.

Si tratta di una modifica del CAD per sottrazione: si è inteso procedere con la rimozione di ciò che non serve o di ciò che non è servito.

La conseguenza è che, a seguito dell’adozione del d. lgs. 26 agosto 2016, n. 179 (pubblicato in GU n. 214 del 13/09/2016, in vigore dal 14 settembre 2016), recante modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale in attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 124/2015, rimangono in vigore le disposizioni in tema di documentazione amministrativa (contenute nel DPR 445/2000) e le regole in materia di conservazione di archivi e documenti (di cui al d. lgs. 42/2004).

Si interviene, invece, su diverse disposizioni del CAD, al fine di rendere agevole la transizione alla modalità operativa digitale (in questi termini cfr. art. 1, comma 1 lettera n) della legge 124/2015) e si modificano anche testi ormai “anacronistici”, prevedendo opportune abrogazioni di disposizioni contenute nel d. lgs. 39/1993 e nei decreti d’urgenza, adottati al fine di recepire nel nostro ordinamento l’Agenda Digitale Europea (in particolare, il DL 5/2012 e il DL 179/2012).

L’obiettivo della delega è di portare il cittadino al centro e di provare ad “alleggerirlo” di una serie di doveri e di oneri: pertanto, con il d. lgs. 179/2016 si è inteso spostare sulle spalle più robuste della PA gli obblighi e gli oneri del cittadino, per cui vale l’equazione “diritti cittadini = doveri per la PA”.

In questa ottica il decreto legislativo 179/2016 poggia le sue basi sulla centralità dei diritti dei cittadini, rispetto alla posizione di favor del cittadino nel rapporto con la P.A.

Nella legge generale sul procedimento amministrativo e nel TU sulla documentazione amministrativa sono previsti (tuttora vigenti) una serie di obblighi in capo alle pubbliche amministrazioni, connessi alla cd. decertificazione.

L’art. 18, comma 2 della legge 241/1990 prevede che “I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento, sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni”. Il legislatore, con la disposizione ivi richiamata, ha inteso far venir meno il ruolo di “postino” da parte del cittadino per conto della P.A., prevedendo l’obbligo per le pubbliche amministrazioni dell’acquisizione d’ufficio di documenti attestanti atti, fatti  e stati soggettivi già in possesso della PA procedente o di altra amministrazione.

L’articolo ivi considerato prevede solamente l’onere in capo al cittadino di dover indicare, su richiesta dell’amministrazione procedente “i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti”.

Questa disposizione purtroppo è stata disattesa e ha trovato scarsa applicazione, poiché le PA hanno continuato imperterrite nell’onerare (e quindi nell’obbligare) il cittadino a fornire documenti, sfruttando la posizione di sudditanza dello stesso.

A ciò deve aggiungersi che l’art. 18, comma 3 della legge 241/1990 prevede che “parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare”.

Viene da chiedersi come impattino le disposizioni del nuovo CAD rispetto alle previsioni già presenti nella legge 241/1990: queste ultime restano pienamente efficaci e trovano compiuta attuazione nell’obbligo di comunicazione tra P.A. mediante sistemi informatici ovvero tramite il sistema pubblico di connettività (cfr. art. 47 del CAD).

La posizione del cittadino nelle relazioni con la PA è stata rilanciata con l’introduzione nell’art. 40 del DPR 445/2000 del comma 01 del DPR 445/2000 (da parte dell’art. 15, comma 1, lett. a), L. 12 novembre 2011, n. 183), novella denominata “decertificazione”: con questa previsione si è previsto che “Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”.

Queste disposizioni hanno come limite di basarsi sulla centralità del procedimento amministrativo, nell’ambito dell’agire amministrativo, e nel non riconoscere un diritto pieno del cittadino alla comunicazione digitale.

Con la novella al CAD, ad opera del d. lgs. 179/2016, si sposta la centralità (e quindi l’ambito di intervento) dal procedimento amministrativo ai diritti dei cittadini, attraverso il riconoscimento di “diritti di cittadinanza digitale” ed il principio della “transizione alla modalità operativa digitale”, espressamente richiamato dall’art. 1, comma 1 lettera n) della legge 124/2015.

Il principio testé considerato, con l’adozione del decreto delegato di riforma, è espressamente richiamato negli articoli 13 e 17, comma 1bis del nuovo CAD, così come modificato dal d. lgs. 179/2016.

È questo pertanto il fondamento della riforma dal lato delle pubbliche amministrazioni: favorire la transizione alla modalità operativa digitale e promuovere i processi di riorganizzazione finalizzati alla realizzazione di un’amministrazione digitale e aperta.

Questo processo di transizione deve avvenire tramite due diverse modalità o approcci:

  • ridefinizione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, mediante una disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio dell’innanzitutto digitale (“digital first”), in base al quale il digitale è il canale principale per tutte le attività amministrative, salva la facoltà di scelta da parte del cittadino;
  • innovazione e reingegnerizzazione di processo, nel rispetto del principio del “digital swicth off”, ossia sistemi e servizi in cui il digitale è l’unico ed esclusivo canale di comunicazione o di relazione tra PA e cittadini / imprese (un esempio al riguardo è rinvenibile nell’obbligo della fatturazione elettronica ovvero con riferimento all’accesso ai servizi erogati dall’INPS).

2 – Gli obiettivi di breve, medio e lungo periodo della riforma del CAD ad opera del d. lgs. 179/2016

Con la riforma del CAD, come riferito dall’amministrazione e riportato nel parere del Consiglio di Stato del 17 marzo 2016, sullo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo, si intendono raggiungere una serie di obiettivi specifici, differenziati in base al termine di attuazione, ossia:

1) nel breve periodo, implementare alcuni diritti, ritenuti ormai parte integrante di quelli spettanti ai cittadini e alle imprese, ovvero:

a) il diritto all’assegnazione di un’identità digitale attraverso la quale accedere e utilizzare i servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni;

b) il diritto all’inserimento di un proprio domicilio digitale nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente ed il diritto a eleggere un proprio domicilio speciale digitale;

2) nel medio periodo, si intendono riconoscere una serie di posizioni soggettive e di misure di agevolazione e si semplificazione delle relazioni:

a) il diritto di utilizzare le soluzioni e gli strumenti informatico-giuridici nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, anche ai fini della partecipazione al procedimento amministrativo, dando in tal modo piena attuazione al citato principio del “digital first”;

b) favorire i pagamenti verso le pubbliche amministrazioni attraverso i servizi di pagamento elettronico, ivi inclusi, per i micro-pagamenti, anche quelli basati sull’uso del credito telefonico;

c) necessità di ridefinire il Sistema pubblico di connettività (SPC);

d) definizione dei criteri di digitalizzazione del processo di misurazione e valutazione della performance;

e) disponibilità di connettività a banda larga e ultralarga e accesso alla rete internet presso uffici pubblici anche attraverso una rete wi-fi ad accesso libero;

3) nel lungo periodo: superamento delle problematiche connesse:

a) al gap del paese rispetto al resto d’Europa in materia di digitalizzazione, che vede l’Italia al venticinquesimo posto in Europa nella diffusione della connessione internet tramite banda larga, nell’utilizzo di internet, nella diffusione delle competenze digitali, nel livello di innovazione digitale delle piccole e medie imprese e nella presenza di servizi pubblici digitali;

b) cd. digital divide, ovvero il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso, in modo parziale o totale, in ragione delle proprie condizioni economiche, del livello di istruzione, della qualità delle infrastrutture e della provenienza geografica.

Pertanto, con il d. lgs. 179/2016 lo Stato, in ossequio a quanto previsto dall’Agenda digitale europea (ADE) e anche dall’Agenda digitale italiana (ADI), si propone di superare l’arretratezza tecnologica del Paese, creando le condizioni per contrastare le principali criticità, che costituiscono il fondamento di quel gap di cui si è in precedenza detto, ossia:

  • uso eccessivo della carta nel normale funzionamento delle amministrazioni;
  • la complessità e l’incompletezza della vigente disciplina in materia di domicilio digitale dei cittadini e delle imprese;
  • l’utilizzo di software con standard non aperti e dipendenti da specifiche tecnologie proprietarie, differenti da ciascuna amministrazione;
  • carenza di forme d’integrazione dei soggetti interessati con i sistemi informativi;
  • assenza di una identità digitale di cittadini e imprese che impedisce l’utilizzo dei servizi erogati dalle PPAA;
  • la non effettività dei principi di cittadinanza digitale;
  • l’analfabetismo della cultura digitale della cittadinanza, con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione;
  • la difficoltà di effettuare pagamenti con modalità elettroniche;
  • l’incompetenza tecnologica dei dirigenti pubblici nell’attuare la transizione verso la modalità operativa digitale;
  • la persistente difficoltà nella navigazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, per la ricerca di documenti e informazioni pubbliche.

3 – I capisaldi della riforma del CAD: cittadinanza digitale, cultura digitale e competitività digitale

La riforma del CAD ha i suoi capisaldi sulle cd. 3C:

  1. cittadinanza digitale;
  2. cultura digitale;
  3. concorrenza digitale.

L’art. 1 della legge 124/2015 è rubricato “Carta della cittadinanza digitale”, per cui la novità più rilevante del decreto di riforma del CAD è il riconoscimento della centralità del cittadino nella relazione con le P.A. e le società a controllo pubblico e dei diritti di cittadinanza digitale. Quest’ultima rappresenta uno status, ossia il complesso dei diritti di utilizzo delle ICT nella relazione tra cittadino / imprese e la pubblica amministrazione, ai fini della fruizione dei servizi pubblici e dell’accesso ai dati e ai documenti in modalità dematerializzata, nonché mediante l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

È questo il fulcro della riforma, che trova i propri capisaldi nella novella e modifica degli articoli 3, 3bis, 5, 64 e 65 del CAD i propri corollari.

La cittadinanza digitale, come status, al fine di essere piena ed effettiva, presuppone che siano adottate azioni in concreto tese al superamento dei possibili ostacoli sia di natura tecnologia, sia di natura cognitiva e delle competenze individuali.

Pertanto, si deve immaginare il cittadino al centro della relazione con le P.A. e si deve prevede che qualunque rapporto e interazione necessari con i soggetti pubblici possano avvenire mediante l’utilizzo delle ICT; da qui:

  • diritto all’uso delle tecnologie e all’utilizzo delle ICT per presentare domande, istanze e dichiarazioni;
  • diritto all’utilizzo di sistemi di pagamento elettronico;
  • diritto al ricevimento delle comunicazioni elettroniche;
  • facoltà di non dover conservare documenti, che per legge devono essere conservati dalle pubbliche amministrazioni.

Perché la cittadinanza digitale possa dirsi effettiva, si segnalano le opportune modifiche e integrazioni da parte del d. lgs. 179/2016 agli articoli 8 e 13 del CAD:

  • quanto al primo, al comma 1 all’espressione alfabetizzazione informatica si è sostituita quella più compiuta di cultura digitale tra i cittadini, che è un obiettivo di politica e di crescita, con “particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l’utilizzo di servizi digitali delle pubbliche amministrazioni”;
  • nell’art. 13, dopo il comma 1, è stato introdotto il comma 1bis, che dispone che “le politiche di formazione di cui al comma 1 sono altresì volte allo sviluppo delle competenze tecnologiche e manageriali dei dirigenti, per la transizione alla modalità operativa digitale”.

Quanto alla cultura digitale, il Governo nel 2014 ha adottato il “Programma nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali”, avente un orizzonte temporale che coincide con la programmazione europea (2014-2020), parte integrante dell’Agenda Digitale Italiana, a cui contribuiscono per la definizione dell’Asse Strategico “Competenze digitali”.

Il Programma nazionale si propone di definire il quadro strategico e operativo entro cui sviluppare la cultura e le competenze digitali del Paese.

Inoltre, è uno strumento che intende raccordare e porre in rete le iniziative territoriali e settoriali già esistenti: si tratta di un lavoro in progress, che deve recepire le nuove esigenze della cittadinanza, e mantenere un allineamento costante tra scelte strategiche, direttrici operative e piano di azione.

Lo sviluppo delle competenze digitali e in generale della consapevolezza digitale è fondamentale per il nostro Paese, che soffre su questo campo di uno svantaggio molto grave nei confronti della gran parte dei Paesi Europei, come rilevato da diversi rapporti internazionali. Ne paghiamo le conseguenze sul fronte dello sviluppo economico-sociale, ma anche dell’inclusione e dell’esercizio dei diritti democratici.

Le competenze digitali (in continua evoluzione) sono necessarie per un utilizzo efficace degli strumenti e dei servizi digitali di uso comune nella vita quotidiana compreso l’ambito lavorativo, senza finalità professionali specifiche. Il nesso con il concetto di cittadinanza digitale nasce proprio dall’idea che saper utilizzare strumenti e servizi digitali ad un livello anche basilare, ma comunque adeguato allo scopo, sia una condizione oggigiorno sempre più necessaria per poter partecipare alle dinamiche sociali, economiche e politiche della realtà in cui viviamo ed esercitare i nuovi diritti legati proprio alla pervasività del digitale.

La prima versione delle Linee Guida è stata presentata il 28 maggio 2014 a FORUM PA 2014. Le Linee guida sono comunque uno strumento in progress e questa prima versione è il risultato anche della consultazione pubblica online (culturadigitale.partecipa.gov.it) avviata lo scorso 10 aprile e conclusasi il 12 maggio 2014.

Le Linee guida hanno le finalità di:

a) proporre una definizione condivisa di competenze digitali, incluse quelle relative alle alfabetizzazioni digitali delle professioni

b) avviare un’attività di mappatura delle iniziative di e-inclusion, alfabetizzazione, formazione digitale già avviate nel Paese (buone pratiche);

c) definire obiettivi e modalità di realizzazione del “Programma nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali” coerenti con il programma Horizon 2020;

d) indicare le modalità di avvio di una campagna per la valorizzazione delle iniziative in atto;

e) definire le modalità di promozione e di finanziamento di nuove iniziative;

f) avviare il confronto e la collaborazione tra gli attori su progetti e iniziative comuni;

g) definire le integrazioni tra le attività del Programma e le Linee guida degli altri assi strategici dell’Agenda digitale italiana (e-commerce, e-government, open data, ricerca e innovazione, città intelligenti).

Infine, il riconoscimento della cittadinanza digitale e la promozione della cultura digitale, non possono prescindere dalla vitalità del mercato e dalla fornitura di nuovi servizi, per cui è necessario promuovere la cd. “concorrenza digitale”: questa non è rinvenibile nella legge delega, né nel d. lgs. 179/2016; tuttavia, si evince dal principio di cui alla lettera m) dell’art. 1 della legge 179/2016, secondo cui occorre “assicurare la neutralità tecnologica delle disposizioni del CAD”.

Il principio di neutralità tecnologica presuppone che si possano utilizzare tecnologie differenti, che prescindano da una tipologia di tecnologia o da un’altra; ciò favorisce la promozione della concorrenza e la crescita di piccole e medie imprese, a tutto vantaggio dei cittadini e degli utilizzatori delle soluzioni e delle tecnologie.

Si pensi a tal fine al Regolamento UE eIDAS n. 2014/910, in tema di servizi fiduciari, che verrà esaminato nel capitolo 5.

Quindi il Programma Nazionale della cultura e delle competenze digitali si propone come modello di approccio, ma allo stesso tempo come luogo di incontro delle iniziative di innovazione, anche oltre il digitale, in grado di innescare un circolo virtuoso tra cittadini sempre più competenti e coprogettisti dei servizi, un settore pubblico sempre più consapevole della propria missione di traino di una richiesta di servizi di qualità e un settore privato sempre più affamato di innovatori e di competenze tecnologiche qualificate, per poter soddisfare e anticipare le richieste di cittadini e amministrazioni.

PA digitale: come cambia dopo la Riforma Madia? Per saperne di più guarda il seguente video

 

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