La figlia può cacciare i genitori dalla casa familiare di cui è proprietaria?

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Due genitori decidono di donare alla loro figlia il denaro necessario per l’acquisto di una villa con terreno a Sanremo, destinata a dimora familiare, in cui quest’ultima andrà a vivere insieme agli stessi. Sennonchè la ragazza, esausta e stressata dai continui litigi di mamma e papà che stavano anche per separarsi, diffida con una lettera i genitori chiedendo loro di traslocare in altro alloggio. Il padre, a suo dire privo di adeguati redditi e di sistemazione abitativa, conviene in giudizio la figlia chiedendo sia la revoca della donazione a causa della grave ingiuria, sia il riconoscimento del proprio diritto di comproprietà sull’immobile e il risarcimento dei danni subiti. La domanda del padre, tuttavia, è stata rigettata e sono state tutelate le posizioni della figlia.

Come noto, la donazione è il contratto con il quale una persona arricchisce l’altra per mero spirito di ‘’liberalità’’, attribuendole un diritto proprio o assumendo verso la stessa una obbligazione, art. 769 c.c. L’ingiuria grave, richiesta dall’ art. 801 c.c., quale presupposto della revocazione, consiste in un comportamento con il quale si rechi all’onore ed al decoro del donante un’ offesa suscettibile di ledere gravemente  il patrimonio morale della persona, tanto da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha ‘’benificato’’ l’agente, e che ripugna alla coscienza comune. L’offesa si manifesta, quindi, per effetto dell’animosità ed avversione nutrite dal donatario nei confronti del donante.

Occorre chiarire che la nozione di ingiuria, delineata in ambito civile, risulta essere più ampia rispetto alla nozione originaria di derivazione penalistica. Ogni singolo caso specifico dovrà, pertanto, essere valutato tenendo conto delle circostanze e considerando l’ambiente socio-economico, l’educazione, l’istruzione dei protagonisti della vicenda.

In tal senso, si è espressa anche la Corte di Cassazione con una recente pronuncia, n. 7487 del 2011. In tale circostanza la Corte sostiene che ‘’non ricorre ingratitudine nel comportamento della figlia donataria non avendo quest’ultima manifestato un atteggiamento di disistima delle qualità del padre donante o mancanza di rispetto nei suoi confronti, nè un affronto animoso contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo la coscienza comune, deve improntare il comportamento della figlia donataria’’. Continua la Corte: ‘’la figlia ha dovuto prendere atto della ‘frattura tra i suoi genitori’ e del sopravvenire di una condizione tale da rendere incompatibile, allo stato, la prosecuzione della convivenza di entrambi i donanti nell’abitazione acquistata con il denaro ricevuto in liberalità’’.

La dimora familiare voluta dall’intera famiglia, per rispondere all’esigenza sostanziale di garantire l’interesse alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, è dunque venuta meno. La Corte con la sua pronuncia ‘’suggerisce una chiara interpretazione’’: la conflittualità dei genitori all’interno della casa familiare, più che la separazione in sè per sè, produce effetti negativi sul benessere stesso dei figli.

Tiziano Solignani

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