Privacy: nella casa dell’amante ogni documentazione è reato

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Il detective assoldato dal marito non ha la possibilità di spiare la moglie nell’abitazione dell’amante, anche se quest’ultimo gli abbia consentito, volontariamente, di entrare. La moglie, infatti, deve essere informata, deve cioè essere a conoscenza delle persone che si trovano in una casa altrui; nascondere la presenza di terzi è lesivo, in questo caso, della sua privacy e il detective di scuola santommasiana rischia la condanna per interferenze illecite nella vita privata.

Questo è quanto stabilisce la sentenza n. 9235/2012, emessa dalla Corte di Cassazione; nella fattispecie un marito, non proprio convinto della fedeltà della moglie, aveva foraggiato un detective privato per verificare la veridicità delle sue preoccupazioni. Il detective, per cogliere la donna in flagranza, si era appostato nell’abitazione del di lei amante, previa l’autorizzazione dello stesso, ed ha così potuto minuziosamente documentare, con materiale audio-video degno del miglior regista di film hard, il rapporto adultero, consentendo al marito di trovare -ahimè- conferma ai propri sospetti.

Ma come suole ricordare l’antico adagio, cornuto e razziato: la moglie, colta da ira funesta, ha deciso di querelare l’investigatore privato e di portarlo davanti al giudice penale. In entrambi i casi, sia la Corte di primo grado che la Corte d’appello, in virtù di quanto ammesso dallo stesso detective, si è stabilito che l’imputato fosse da condannare per il delitto di cui all’articolo 615 – bis del codice penale (rubricato “interferenze illecite nella vita privata”).

I giudici di merito hanno ritenuto, infatti, che il comportamento del detective abbia violato il diritto alla privacy, che deve essere garantito alla moglie nei luoghi privati, quale un’abitazione (anche se non sia la propria). Il detective, allora, si è rivolto alla Corte di Cassazione per conseguire la riforma della sentenza della Corte d’appello, tuttavia la Corte di legittimità non ha accolto le tesi difensive dell’imputato ed ha confermato la condanna. Gli ermellino hanno ritenuto, avversamente a quanto rilevato dal ricorrente, che il reato contestato possa benissimo concretizzarsi, anche quando il filmato sia girato in un’abitazione diversa da quella della moglie.

Non è di rilievo, dunque, che il “documentario” non sia stato registrato a casa della persona spiata; la stessa regola vige anche nel caso in cui il proprietario della casa, nella fattispecie l’amante, avesse dichiaratamente palesato il consenso a filmare al detective. Il soggetto spiato, infatti, deve comunque aver garantita la sua parte di privacy. Quindi l’investigatore, per dirla più semplicemente, compie il reato anche se la sua presenza è legittima nel luogo (privato) dove avviene il tradimento.

L’effetto della sentenza è quello di estendere il raggio delle condotte punibli nell’attività di investigazione privata, in tal modo sanzionando non solo le registrazioni effettuate nel domicilio del soggetto osservato, ma anche quelle fatte nelle abitazioni dei suoi “frequentatori”.

Alessandro Camillini

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