Polizza casalinghe, un’occasione mancata per tutelare milioni di italiani

Massimo Quezel 24/02/18
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Pochi sanno che, da ormai quasi vent’anni, nel nostro paese viene riconosciuto e tutelato “il lavoro svolto in ambito domestico, affermandone il valore sociale ed economico connesso agli indiscutibili vantaggi che da tale attività trae l’intera collettività” tanto che esiste una polizza assicurativa per chi si occupa delle faccende di casa, gestita dall’INAIL, introdotta nell’ormai lontano 1999 con la legge 493 e la cui sottoscrizione è divenuta obbligatoria dopo due anni, nel 2001.

Secondo la legge i soggetti tenuti a sottoscrivere tale polizza sono le donne (e gli uomini) che si occupano della cura della casa e del nucleo familiare in via esclusiva, gratuitamente e senza subordinazione, di età compresa tra i 18 e 65 anni.

Il costo di questa polizza è veramente esiguo: viene richiesto, infatti, il pagamento di un premio annuale di 12,91 euro, mentre la copertura è addirittura gratuita per le famiglie con reddito annui che non superi i 9296,22 euro.

Eppure sono poco più di un milione le polizze che sono state sottoscritte nel 2017, laddove si stima che in Italia gli uomini e le donne che si occupano della casa senza avere altre attività lavorative e con meno di 65 anni siano più di 4 milioni. Quindi, se solo una casalinga su quattro è in regola con il pagamento del premio annuale INAIL, le restanti tre sono a rischio sanzione.

Dove sono da ricercare i motivi dell’insuccesso di questa pur lodevole (almeno sulla carta) iniziativa?

È utile, a questo proposito, precisare brevemente quali rischi copra la polizza INAIL per le casalinghe. Si tratta dei casi di infortunio avvenuti in occasione (e a causa) dello svolgimento del lavoro in ambito domestico, ma solo nel caso in cui sia derivata una inabilità permanente pari o superiore al 27%.

Nel verificarsi di tali eventi viene corrisposta dall’INAIL una rendita vitalizia con periodicità mensile, il cui ammontare può oscillare dai 186,18 euro ai 1292,90 euro, a seconda del grado di invalidità effettivo.

Quindi la polizza non prevede un indennizzo in caso di inabilità temporanea a seguito dell’infortunio, nè in tutti quei casi in cui l’eventuale invalidità permanente sia inferiore al 27%. In altre parole, è una polizza che paga soltanto in caso di infortuni molto gravi, per altro con un riconoscimento economico dilazionato nel tempo e di entità veramente esigua.

Per intenderci, se la massaia si rompe un braccio cadendo da uno sgabello o si trancia un dito, non riceverà nessun indennizzo, fermo restando che anche i casi più gravi saranno sempre i medici dell’INAIL a stabilire se l’assicurato abbia diritto alla rendita, sempre che si riesca a dimostrare che l’incidente è avvenuto durante lo svolgimento degli affari domestici.

Appare evidente che la tutela garantita da questa polizza obbligatoria è, nei fatti, del tutto marginale: paga poco, e solo per sinistri gravissimi. La circostanza che non sia “sentita” dai diretti interessati come uno strumento utile, quindi, è del tutto giustificata.

Del resto lo stato non fa poi molto per fare rispettare l’obbligo a contrarre previsto per legge, visto che l’eventuale sanzione è pari a 12,91 euro, cioè l’esatto importo del premio!

E poi, come si fa a verificare che un soggetto si occupi “della cura della casa e del nucleo familiare” esclusivamente, gratuitamente e senza subordinazione? Sanzione praticamente inesistente e impossibilità, nel concreto, di perseguire gli “evasori”.

Insomma, un’altra occasione mancata da parte dello Stato per offrire un servizio utile ai cittadini, in particolare a quei soggetti che si assumono il gravoso compito di garantire il benessere del nucleo essenziale che compone lo Stato stesso, e che è garantito solennemente nella Costituzione: la famiglia.

Ecco, se letta in questa chiave, la tutela della sicurezza di milioni di uomini e donne che si occupano stabilmente del benessere dei propri congiunti meriterebbe strumenti più efficaci.

Massimo Quezel

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