Perché ancora abbocchiamo al clickbaiting

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Perché siamo fatti di emozionalità e nell’ordalia dell’infodump solo la stimolazione continua della “pancia”, i più intellettuali direbbero neuroni a specchio, suscita l’azione del click, quella di cui i portali si nutrono per sopravvivere.

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Il clickbaiting porta guadagno quindi vince

Intendiamoci, i titoli da strillone esistono da sempre, nati insieme il mestiere di informare.

Ingolosire la curiosità del lettore (il quale fra l’altro non esiste più, sostituito dall’utente, colui che fruisce e usa un’informazione) è un’arte divenuta via via sempre più pop nel senso viscerale del termine.

Ormai non sono più credibili neanche le anime belle della prima ora: se non si sviluppa un titolo in grado di attirare l’azione più semplice del Web – ovvero il click – e al tempo stesso quella che richiede lo sforzo maggiore – ovvero direzionare la propria attenzione su qualcosa – nessuno, proprio nessuno, atterrerà sul porto sicuro della pagina che così si guadagna la pagnotta.

Questo perché, nonostante tutto, da oltre quindici anni non ci si schioda dal modello di business quantitativo = più click , più pubblicità.

L’alternativa degli ultimi tempi ricorda ancora più il vecchio postalmarket = più click, più prodotti in affiliazione a rispondere a un’esigenza, più vendite.  Addirittura due o più click; quindi di sé e per sé è un modello che funziona e paga di più perché lo sforzo richiesto dall’utente è ancora più erculeo.

Nel contempo però il portale informativo si trasforma in uno di quei ricettacoli che arrivavano per posta alle nonne, gonfio di prodotti a occasioni imperdibili.

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Fino a quando durerà il clickbaiting?

Questa è la seconda domanda da farsi, direttamente collegata alla prima: fino a quando durerà questa fase sensazionalistica?

Il problema è reale, poiché in effetti più andiamo avanti, più siamo de-sensibilizzati e quindi il titolo di clickbait di ieri non funziona più oggi e bisogna essere ancora viscerali, come se farcissimo con un’altro strato di panna una torta già di per sé ben gonfia.

Penso sia legittimo stimare che la fase del rigetto debba comunque arrivare, è fisiologico. Il problema è l’esistenza o meno di una alternativa.

Non voglio tirar fuori la consueta proporzione secondo la quale solo il 20% fa click sul contenuto, e l’80% si ferma al titolo.

Perché in questo caso, l’unica cosa che si andrà a ridurre è proprio quella percentuale cliccata, finché tutti i contenuti di per sé verranno ignorati, “informandosi” soltanto con il titolo stesso.

Dovendo ripensare del tutto il business model – è questo il primo problema, in realtà  – in quanto senza click, senza visualizzazione, non vi è la base economica per fare informazione.

(Foto copertina iStock/MicroStockHub)

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Questo libro si propone come un prontuario, un manuale di rapida consultazione dedicato alla comunicazione digitale.Si rivolge in primo luogo a giornalisti, addetti stampa e, in generale, a tutti i professionisti della comunicazione; in particolare a quelli tra loro che, formatisi in un mondo nel quale i media tradizionali avevano un ruolo dominante, avvertono ora la necessità di comprendere il nuovo panorama dell’informazione creato dalla diffusione delle tecnologie digitali.Il volume ha il taglio del saggio, ma non disdegna gli elementi tecnici e le problematiche più comuni cui il professionista della comunicazione oggi deve far fronte.Un libro per imparare a conoscere, gestire e cavalcare lo tsumani della Digital Transformation, per evitare di rimanere travolti.Benedetto MotisiAttivo in Italia ed Est Europa, ha iniziato a lavorare nella redazione di Radio Radicale, spostandosi poi nel business marketing con un forte orientamento sulla Search Engine Optimization. Dopo aver collaborato con la suite SEO internazionale SEMrush ha chiuso il cerchio tornando al primo amore del giornalismo. Infatti, attualmente ricopre il ruolo di Direttore responsabile per il magazine sul lifestyle, Junglam.

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