Pensione con Quota 100: tutti i pro e contro dell’opzione

Il “decretone Pensioni e reddito di cittadinanza” è intervenuto in maniera importante sul sistema previdenziale, introducendo una nuova modalità d’uscita dal mondo del lavoro: Stiamo parlando, in particolare, della tanto discussa “quota 100” che s’inserisce come opzione per accedere alla pensione. Quindi, accanto alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata, che sono le due modalità ordinare previste dalla legge per collocarsi a riposo, si affianca anche la “quota 100”. La nuova misura, introdotta in via sperimentale per il triennio 2019-2021, ha l’obiettivo di alleggerire i requisiti d’accesso alla pensione, divenuti ormai esosi dopo la riforma del 2012.

Grazie alla pensione “quota 100”, come intuibile dalle parole stesse, permette di richiedere la pensione all’INPS al raggiungimento di un minimo di 62 anni d’età e almeno 38 anni di contributi. Sono già moltissimi i lavoratori che hanno fatto richiesta di accesso a “quota 100”: al 6 maggio 2019, sono circa 128.229 le richieste arrivate.

Ma accedere a “quota 100” è davvero così conveniente? Quali sono realmente tutti i pro e contro dell’opzione? Vediamo quindi nel dettaglio quali potrebbero essere i vantaggi, o comunque gli svantaggi, che spingono i lavoratori ad accettare l’accesso alla pensione in deroga ai requisiti ordinari o meno.

=> Quota 100 al via: tutte le istruzioni Inps per fare domanda <=

Pensione con Quota 100: i vantaggi

Innanzitutto, tra i vantaggi possiamo sicuramente annoverare la possibilità concessa a una vasta platea di lavoratori prossimi alla pensione, di poter collocarsi a riposo in anticipo di qualche anno. Si tratta, in particolare, degli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (Ago) e alle forme esclusive e sostitutive della medesima, gestite dall’INPS, nonché alla Gestione separata di cui all’art. 2, co. 26, della L. n. 335/1995.

Da precisare, inoltre, che il requisito anagrafico minimo, pari a 38 anni, non è soggetto agli incrementi alla speranza di vita, così come accade invece per la pensione di vecchia (ora conseguibile a 67 anni d’età). Per quanto riguarda i contributivi, invece, ai fini del loro perfezionamento è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato.

Altro vantaggio riguarda la possibilità di poter, su domanda, cumulare tutti e per intero i periodi assicurativi versati o accreditati presso due o più forme di assicurazione obbligatoria, gestite dall’INPS. Chiaramente i periodi assicurativi coincidenti devono essere considerati una sola volta ai fini del diritto e valorizzati tutti per la misura del trattamento pensionistico. In caso di coincidenza dei periodi contributivi, occorre neutralizzare quelli versati o accreditati presso la gestione nella quale risultino presenti il maggior numero di contributi.

ESEMPIO

Ad esempio, un soggetto con anzianità contributiva presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti dal 1982 al 2019 e con anzianità contributiva presso la Gestione separata dal 1996 al 2019 può conseguire la “pensione quota 100” avendo perfezionato 38 anni di anzianità contributiva di cui, ai fini del diritto, 14 anni dal 1981 al 1995 presso il Fondo pensioni lavoratori dipendenti e 24 anni di anzianità contributiva, dal 1996 al 2019, presso la Gestione separata.

Ai fini operativi, quindi, le gestioni interessate – ciascuna per la parte di propria competenza – determinano il trattamento pensionistico pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento.

Pensione con Quota 100: gli svantaggi

DIVIETO DI CUMULO. Tra i fattori che potrebbero far desistere i lavoratori di accettare la pensione con “quota 100”, possiamo evidenziare innanzitutto l’incumulabilità del trattamento previdenziale con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui.

=> Quota 100: cosa succede se un reddito è considerato incumulabile <=

Quindi, il bisogno di continuare a lavorare comunque, anche dopo la pensione, incide senz’altro nella scelta. Tuttavia, l’incumulabilità non è vita natural durante, ma vige esclusivamente per il periodo intercorrente tra la data di decorrenza della pensione e la data di maturazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, che per quest’anno si raggiunge a 67 anni.

Cosa significa tutto questo? È molto semplice: l’INPS ha disposto una divieto di cumulo per un massimo di 5 anni, fino appunto il raggiungimento della predetta soglia d’età anagrafica.

ESEMPIO.

Facciamo un esempio. Un pensionato raggiunge “quota 100” con 62 anni e 38 anni di contributi: in questo caso, il pensionato non potrà lavorare per 5 anni. Diversamente, chi matura “quota 100” a 65 anni sarà oggetto del divieto di cumulo per due anni.

Sul punto, bisogna prestare la massima attenzione, poiché i redditi derivanti da qualsiasi attività lavorativa svolta, anche all’estero, successivamente alla decorrenza della pensione e fino alla data di perfezionamento della pensione di vecchiaia prevista nella gestione a carico della quale è stata liquidata la pensione con “quota 100”, comportano la sospensione dell’erogazione del trattamento pensionistico nell’anno di produzione dei predetti redditi. Nel caso di redditi prodotti nei mesi dell’anno precedenti il perfezionamento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, l’erogazione del trattamento pensionistico è sospesa nel predetto periodo.

=> Pensioni Quota 100: quali redditi sono compatibili <=

Unica eccezione di cumulabilità si ha con i redditi derivanti dallo svolgimento di lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui. L’INPS, in particolare, si riferisce a quelle attività prestate secondo l’art. 2222 del codice civile, che individua il contratto d’opera.

CALCOLO IMPORTO

Infine, si ricorda che non esistono differenze in merito alle modalità di calcolo della pensione rispetto alle regole ordinarie. Quindi, possono verificarsi i seguenti tre casi:

  1. lavoratori che hanno maturato almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995: in questo caso, si mantiene il diritto al calcolo retributivo per le annualità fino al 2011 (compreso), mentre dal primo gennaio 2012 scatta comunque il calcolo contributivo;
  2. lavoratori che hanno maturato meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995: in questo caso, si calcola la pensione con il sistema misto. Le annualità fino al 1995 (compreso) sono valorizzate con il sistema retributivo, quelle successive a questa data (quindi, dal primo gennaio 1996 in poi) si calcolano con il contributivo.
  3. lavoratori che non hanno maturato alcun contributo prima del 31 dicembre 1995: la pensione è interamente contributiva.

In base a tal meccanismo, nella maggioranza dei casi i lavoratori che si ritireranno con la quota 100 ricadranno nel calcolo misto della pensione.

Daniele Bonaddio

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