Osservazioni in prima lettura sul disegno Renzi Boschi di revisione costituzionale

Pietro Ciarlo 28/04/14
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Condivido l’impostazione di fondo del disegno di legge di riforma costituzionale presentato dal governo Renzi. Infatti, ho sempre pensato che, in riferimento ai rapporti tra centro e periferia, dovesse essere costituzionalizzata la conferenza Stato-Regioni-Enti Locali e che le due Camere dovessero essere unificate in un solo “Parlamento della Repubblica” (cfr. Ciarlo-Pitruzzella, Monocameralismo: unificare le due Camere in un unico Parlamento della Repubblica,  Commissione per le riforme costituzionali).

Il disegno di legge Renzi, caratterizzandosi in senso sostanzialmente monocameralista, appare mutuare una tale impostazione e gli scostamenti da essa sembrano dettati soprattutto da esigenze di “gestione politica” della riforma. Non a caso nella prima stesura del disegno di legge si parlava di un’Assemblea degli enti territoriali, mentre nella stesura definitiva è stata adottata la più mimetica denominazione di “Senato delle autonomie”, pur restandone sostanzialmente invariati i profili strutturali e funzionali. Credo, che tale nuova denominazione non agevoli particolarmente il percorso della riforma infatti essa appare per molti aspetti solo  nominalistica. Di sicuro gratifica il versante regionale,  ma lascia, però, intatto l’ineludibile nodo della approvazione da parte del Senato. Da questo punto di vista, credo che nella comunicazione politica ma soprattutto nel testo normativo di riforma andrebbe accentuato l’aspetto di unificazione delle due Camere, piuttosto di quello della soppressione di una sola di esse. Bisognerebbe fugare ogni sensazione di ingiustificati intenti o effetti punitivi a carico del Senato, ribadendo, viceversa, la necessità di ridurre il numero dei parlamentari e di eliminare le inutili duplicazioni delle sedi decisionali derivanti dal bicameralismo. Ove in Senato si incontrassero difficoltà nell’approvazione del testo, una riflessione su questi aspetti potrebbe aiutare il loro superamento.

In effetti, per come  è configurato, il nuovo Senato delle autonomie avrebbe una struttura tipica da conferenza delle autonomie, cosicché nel nostro ordinamento si verrebbero a creare due organi dalla composizione sostanzialmente sovrapponibile: la Conferenza Stato-regioni-autonomie disciplinata dalla legge e  il Senato delle autonomie costituzionalizzato. La Conferenza resterebbe votata all’esercizio di attività formalmente amministrative, ma spesso di grande rilievo sostanziale, mentre il Senato  sembrerebbe avere funzioni nell’ordinario forse addirittura meno incisive, escludendo la revisione costituzionale, nonché l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Peraltro, è possibile ravvisare una perplessità di ordine generale che assume una particolare evidenza proprio in relazione alla qualificante partecipazione al procedimento di revisione costituzionale. Il Senato delle autonomie è configurato come un’assemblea a rinnovamento continuo essendo i suoi componenti sostituiti in relazione alle elezioni degli enti da cui derivano.  Un’assemblea così costituita, dal punto di vista strutturale, si mostra  poco idonea a gestire processi decisionali di lungo periodo come sono quelli di revisione costituzionale. Forse sarebbe più opportuno prevedere che anche nel procedimento legislativo costituzionale il Senato avesse poteri di carattere consultivo simili a quelli per esso previsti nel procedimento legislativo ordinario. Viceversa, può accadere  che in determinati periodi, anche non brevi, il mondo delle autonomie, e quindi il nuovo Senato, sia dominato da quei partiti che fossero particolarmente radicati nelle amministrazioni locali. In altre parole l’assetto politico  del Senato di fatto potrebbe oscillare tra un  eccesso di indeterminatezza dovuto al continuo turn  over, ovvero da un monolitismo in cui la funzione dell’opposizione sarebbe ridotta veramente a poca cosa.

Infine per quanto riguarda la ripartizione della competenza legislativa tra Stato e regioni, credo che il disegno di revisione prenda giustamente atto del declino della regione-legislatore. In dettaglio appare necessario un miglior coordinamento testuale in materia di polizia amministrativa locale e di giustizia di pace (art. 117, c. 2 e 5) con l’inserimento anche di quest’ultima tra le materie di potestà esclusiva statale.

In definitiva riterrei opportuno che il nuovo Senato avesse una maggiore coerenza con la sua effettiva natura di assemblea degli enti territoriali e quindi fosse coinvolto nel procedimento di revisione costituzionale solo con un ruolo consultivo e che ad esso siano attribuite, direttamente o in base alla legge, le ulteriori funzioni oggi spettanti alla conferenza Stato-regioni-enti locali, anche considerando che l’avvenire delle regioni sembra sempre più caratterizzarsi sul versante amministrativo. Questa soluzione porterebbe ulteriori elementi di semplificazione, coesione ed economicità al generale disegno di revisione costituzionale: non un Senato camera secondaria in via di deperimento fin dalla nascita, ma un’assemblea degli enti territoriali che sia effettivo incrocio tra centro e periferia.

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Pietro Ciarlo

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