L’Open Data diventa un diritto?

La Regione Piemonte si conferma la PA italiana leader in materia di Open Data: dopo essere stata la prima Regione a dotarsi di un portale dei dati pubblici (dati.piemonte.it) e ad adottare delle “Linee Guida” per il riutilizzo del patrimonio informativo pubblico, ha approvato anche la prima legge regionale in materia.

L’importanza di una legge regionale

Il provvedimento, si legge nella relazione di accompagnamento,

nasce dall’esigenza di dare concreta attuazione al principio secondo il quale i dati prodotti dalle istituzioni pubbliche nell’espletamento delle loro funzioni appartengono alla collettività e, quindi, devono essere resi disponibili e riutilizzabili“.

Qualcuno potrebbe chiedersi se c’era proprio bisogno di una legge ora che, dopo l’esempio piemontese (citato anche come esperienza di successo nell’ambito della strategia europea presentata il 12 dicembre scorso) l’Open Data è diventato una prassi amministrativa recepita da un numero sempre crescente di Enti di ogni livello (Comuni, Regioni e PA centrali), per non parlare della strategia presentata dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione che ha realizzato anche il portale nazionale www.dati.gov.it.

E allora che bisogno c’era di una legge? Credo che alla domanda possa rispondersi distinguendo tra l’Open Data inteso come “diritto” e l’Open Data “ottriato”. La distinzione, che mutuo dalla terminologia utilizzata per le costituzioni di metà ‘800, serve ad evidenziare la precarietà delle iniziative di liberazione dei dati pubblici che siano la concessione che “amministrazioni illuminate” fanno ai propri cittadini. Infatti, senza una norma che sancisca l’obbligo delle amministrazioni di fare Open Data, l’Ente che inizialmente abbia deliberato di pubblicare i propri dati e, successivamente, decida di non rispettare tale promessa (o peggio ci ripensi) non dovrà risponderne, se non dal punto di vista strettamente politico.
Una legge di questo tipo, invece, oltre a dare un contenuto nuovo alla trasparenza cui tutti i cittadini hanno diritto, incentiva anche le imprese a sviluppare applicazioni che riutilizzano i dati pubblici: infatti, solo in presenza di certezza in ordine alla disponibilità (e quindi all’approvvigionamento) dei dati, le aziende potranno effettuare gli investimenti necessari.

La legge piemontese: tante luci, poche ombre

La legge appena approvata dal Consiglio Regionale del Piemonte ha il merito di aprire questa nuova fase in modo coerente con la filosofia del Movimento Open, in quanto:
a) l’iter del provvedimento è stato particolarmente celere (meno di tre mesi dalla data di presentazione della proposta di legge);
b) nel corso dei lavori sono state consultate associazioni e centri di ricerca impegnati su questi temi;
c) i promotori dell’iniziativa legislativa hanno lodevolmente recepito gli spunti che il Movimento ha fornito negli ultimi mesi.

Il provvedimento licenziato dal Consiglio Regionale è molto snello (appena sei articoli) e si apre (art. 1) con l’enunciazione delle finalità dell’intervento: l’accessibilità dei dati della Regione ha lo scopo di rendere l’amministrazione più trasparente, di rendere possibile la collaborazione pubblico-privato, ma – soprattutto – di incentivare lo sviluppo economico.

Il legislatore regionale si preoccupa quindi di specificare che i dati dovranno essere resi accessibili liberamente via Internet, secondo appositi regolamenti attuativi che saranno adottati entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge (art. 5).
E’ altresì prevista (art. 4) un’apposita procedura di reclamo nei casi in cui gli uffici non provvedano a rendere effettivamente disponibili e riutilizzabili i dati.

E’ forse questo l’unico punto debole della legge: quello dei meccanismi predisposti per garantire l’effettività delle disposizioni in essa contenute; tali meccanismi, infatti, non appaiono sufficientemente stringenti.
Bisogna evitare il rischio che la legislazione regionale in materia di Open Data perpetui gli stessi difetti di quella (sempre regionale) in materia di Open Source: tante disposizioni di principio, nessuna sanzione in caso di inosservanza, scarsi effetti pratici.

Ben venga quindi la procedura di reclamo (i cui contenuti saranno specificati solo in un secondo momento), ma magari sarebbe stato opportuno individuare sanzioni stringenti per gli uffici inadempienti e istituire un meccanismo di monitoraggio sull’applicazione della legge. Potrebbe essere consigliabile, ad esempio, prevedere la predisposizione e pubblicazione di un rapporto annuale relativo all’attuazione della norma da parte di ciascun ufficio regionale; tale adempimento, oltre a consentire un controllo diffuso da parte dei cittadini, potrebbe stimolare una sana “concorrenza” tra gli uffici sul numero e la qualità dei dati liberati.

La stessa concorrenza che è auspicabile ci sia tra i legislatori regionali nel passaggio dall’Open Data “ottriato” all’Open Data come “diritto”.
Nella gara per la Regione più “open”, il Piemonte è già partito… gli altri rimarranno a guardare?

Ernesto Belisario

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