Licenziamento per giusta causa: il CCNL non vincola il giudice

Paolo Ballanti 26/04/18
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Ravvisabile la giusta causa di licenziamento anche al di fuori delle casistiche previste dal CCNL. A questo è giunta la Cassazione con sentenza n. 6606 del 20 dicembre 2017 pubblicata il 16 marzo 2018.

La Suprema Corte si è espressa in merito al licenziamento per giusta causa di un capotreno il quale si era più volte trattenuto nella cabina di guida, senza in questo modo ottemperare alle sue attività di assistenza alla clientela e controllo biglietti.

Dopo essersi visto respingere l’impugnativa sia in primo che in secondo grado il dipendente investiva della questione la Suprema Corte. D’interesse per l’argomento in parola sono le motivazioni con cui il giudice di legittimità rimette la causa alla Corte d’Appello, asserendo che è stata omessa qualsivoglia valutazione sulla proporzionalità o meno della sanzione irrogata (licenziamento disciplinare).

È bene ricordare che il codice civile (articolo 2119) individua il licenziamento per giusta causa ogniqualvolta si verifichi un evento che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto. In giurisprudenza, la fattispecie di giusta causa per antonomasia è la lesione del vincolo fiduciario tra datore e dipendente.

Ma trattandosi di definizione generica e aperta a qualsiasi interpretazione, i contratti collettivi sono intervenuti negli anni tentando di individuare una serie di fattispecie che, in considerazione delle caratteristiche specifiche del settore produttivo, giustificassero l’interruzione del rapporto di lavoro.

Ciò ha ingenerato molteplici dubbi sull’importanza da dare alle disposizioni contrattuali e soprattutto sui confini del concetto di “giusta causa”.

La sentenza in parola tenta di dipanare questi dubbi, citando le possibili soluzioni cui il giudice di merito può giungere nelle controversie riguardanti licenziamenti per giusta causa.

La Cassazione afferma innanzitutto che è sempre consentito al giudice di merito valutare se il provvedimento disciplinare è proporzionato alla gravità della condotta tenuta dal dipendente e, soprattutto, ravvisare una giusta causa di licenziamento anche oltre le casistiche citate dal contratto collettivo.

Afferma la Suprema Corte: “Il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore”.

La conclusione naturale della Corte, peraltro sostenuta da una copiosa giurisprudenza, è che “l’elencazione delle giuste cause di recesso contenuta nel CCNL ha carattere esemplificativo”. In tutti i casi, quindi, il giudice può ravvisare una giusta causa di recesso se ritiene che la condotta del dipendente sia stata tale da ledere il vincolo fiduciario con il datore.

Viceversa, il potere dell’organo giudicante è limitato nei casi in cui “condotte pur astrattamente ed eventualmente suscettibili di integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo ai sensi di legge non possono rientrare nel relativo novero se l’autonomia collettiva le ha espressamente escluse, prevedendo per esse sanzioni meramente conservative”. Questo perché, sostiene la Suprema Corte, le “norme sul concetto di giusta causa o giustificato motivo soggettivo e sulla proporzionalità della sanzione sono pur sempre derogabili in melius”.

Ciò significa che l’organo giudicante non può ravvisare un licenziamento per giusta causa se la medesima condotta, sulla base del CCNL, integra una sanzione conservativa (multa, sospensione).

Infine, la Cassazione ritiene nulle, per violazione di norma imperativa di legge (articolo 2119 c.c.), tutte quelle clausole dei contratti collettivi che includono erroneamente determinate condotte tra quelle meritevoli di licenziamento per giusta causa.

La sentenza in parola conferma ancora una volta l’importanza, da parte degli addetti ai lavori, di una valutazione caso per caso, a prescindere dal CCNL, sull’idoneità della condotta del dipendente nel compromettere inevitabilmente il rapporto fiduciario con il datore.

Paolo Ballanti

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