Legge Pinto: se la giustizia è lenta lo Stato deve pagare

Redazione 14/02/13
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Ritorna a far parlare la legge n. 89/2001, meglio nota ai più come legge Pinto. Il rinforzo della voce “debito Pinto” segna sempre più vigorosamente il rendiconto statale. La normativa, inserendo il diritto di ottenere un rimborso per danni sia morali che patrimoniali al cittadino che abbia una causa pendente da diversi anni, nasce in qualità di ricorso straordinario in appello qualora un procedimento giudiziario ecceda i termini di durata processuale ragionevole, così come stabilita dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). L’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione identifica per ogni persona il diritto a che la propria causa venga disposta e valutata entro un lasso temporale equilibrato, quale componente del diritto ad un equo processo.

Nel corso degli ultimi anni, lo Stato ha assistito all’accrescimento esponenziale delle richieste d’indennizzo. Nel 2010 il ministero della giustizia, in applicazione della legge Pinto, ha richiesto al ministero dell’economia 95 milioni di euro. Il 2011 ha visto più che raddoppiare il budget invocato (205 milioni), riscuotendone però soltanto un misero 10%. Il “debito Pinto”, nel mese di ottobre dell’anno appena trascorso ha così toccato i 330 milioni di euro; la cifra pare essere destinata a salire ulteriormente a fronte dei 9 milioni di processi civili e penali che ricadono come arretrati nel bilancio della giustizia.

Con l’intento di porre un freno alle richieste risarcimentali è intervenuto il Dl. 22 giugno 2012 n. 83, contenente “misure urgenti per la crescita del paese” (c.d. decreto sviluppo del governo Monti), il quale ha apportato rilevanti variazioni alla legge. La riforma ha mutato il procedimento delineato dalla Legge Pinto per consentire una più agevole ed efficiente accessibilità al giudizio di equa riparazione, e così assicurare in tempi più rapidi l’equo risarcimento.

Con il Dl Sviluppo 2012 non è più la Corte d’Appello in composizione collegiale ad essere investita dell’onere decisionale. A concorrere nella decisione si stipula l’intervento di un giudice monocratico di Corte d’appello, tramite una procedura che sia modellata su quella del decreto ingiuntivo e quindi, priva di vani appesantimenti procedurali. Viene, inoltre, assicurato un tetto massimo oltre il quale la lunghezza del processo viene considerata “irragionevole”, insorgendo di conseguenza il diritto all’equo risarcimento. La lunghezza del processo non assume “entità ragionevole” nel caso in cui oltrepassa i sei anni (tre in primo grado, due in secondo e uno nel giudizio di legittimità). Col Decreto Monti, poi, si sono stabiliti gli importi per gli indennizzi commisurati in 1.500 euro per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi, eccedente rispetto alla scadenza della ragionevole durata. In tutti i casi, la domanda può essere avanzata, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla sentenza definitiva che spiega il giudizio proseguito oltre l’equo termine.

Rispecchia appieno la politica del rigore sulla spesa pubblica instaurata dalle manovre “Monti”, la volontà del ministro della giustizia Paolo Severino, la quale, inaugurando l’anno giudiziario 2013, ha rammentato come la riduzione della litigiosità ed il ragionevole decorso delle contese siano due punti focali dell’amministrazione di governo per l’anno appena iniziato. La questione dei ritardi giurisdizionali rappresenta, dunque, uno dei problemi più sentiti sul fronte del bilancio statale, costituendo una rilevante voce in passivo del rendiconto della Giustizia.

Basti pensare che soltanto nel 2012 si sono contate ben 695 sentenze di ottemperanza per mancato pagamento delle condanne Pinto, di cui solo 330 effettuate per carenza di personale da parte della Direzione generale. Nonostante l’accrescimento dello stanziamento previsto per l’anno 2013 (50 milioni di euro), Severini precisa come sia del tutto irrealizzabile l’estinzione del debito pregresso, in particolar modo di quello assunto nel corso 2012.

Il dibattito sulla legge Pinto si estende anche in rete dove compare una moltità di voci correlate. Avvocatogratis.it, ad esempio, propone la possibilità di scaricare senza oneri di spesa un e-book che funge da guida per illustrare l’indennizzo mediante gratuito patrocinio. Visti i consensi riscattati dall’iniziativa, potrebbe trovare tangibile avvio una petizione rivolta al premier che richieda, per l’appunto, l’aggiornamento del tetto reddituale del patrocinio a spese dello Stato, così recuperando il ritardo accumulato per poterlo  portare oltre gli 11.100 euro, consentendo altresì anche a chi detiene minore possibilità economica di richiedere i rimborsi della legge Pinto.

Ancora, www.bartolinistudiolegale.com, lo studio toscano Bartolini, offre una consulenza non spesata che informa la possibile entità del risarcimento, illustrando inoltre gli eventuali costi in caso di contrasto. Soltanto in seguito al ricevimento del rimborso, si specifica nel sito, sarà provveduto al pagamento della prestazione offerta in base al patto di quota lite sottoscritto dal cliente al momento dell’incarico, pari al 20% del risarcimento conseguito. Se poi il cliente opta per l’abbandono della causa, qualora il legale incaricato revochi il mandato e/o vi rinunci, dovranno essere corrisposte le spese vive sorrette, se non precedentemente risarcite, oltre al pagamento dell’attività sino ad allora effettuata sulla base delle tariffe in vigore, applicate al minimo presunto.

Anche lo studio legale Pezzano Soldani & Partners interviene in tema Pinto, rimanendo trattabile: “Per favorire una relazione professionale condivisa, il compenso dello studio, su richiesta del cliente e previa valutazione della complessità della vicenda, potrà essere legato anche all’effettivo risultato conseguito”. Rimane soltanto da chiedersi se le casse dello Stato saranno effettivamente in grado di restituire i soldi ai cittadini.

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