Il Pd, ad esempio, punta forte su collegi uninominali e doppio turno. Benché non vi sia un’opinione unanime all’interno del partito di Pierluigi Bersani, tra i democratici la bilancia potrebbe pendere verso un sistema ibrido ispirato a Germania e Spagna: attribuzione dei seggi con metodo proporzionale, metà collegi uninominali e metà listini bloccati, a soglia di sbarramento variabile. Possibili aperture sul doppio turno, mentre appare definitivo il no alle preferenze e ai premi di maggioranza per le coalizioni.
Pierferdinando Casini lo ha ripetuto anche ieri: per l’Udc ciò che non è negoziabile è proprio il principio delle preferenze, che andrebbero a prendere il posto dei collegi. Alla fine, Casini potrebbe spuntarla, concedendo qualcosa sul premio di maggioranza, ma che non oltrepassi il 10% e sia destinato solo alla lista vincente. A dividersi i seggi in Parlamento, sarebbero, poi, i soli partiti con percentuali al di sopra della soglia di sbarramento.
Nel Pdl, invece, si parla spagnolo: il partito di Berlusconi appoggerebbe una proposta che contempli un sistema proporzionale a liste bloccate, con ripartizione dei seggi in ambito di circoscrizione. Eppure, anche l’ex primo partito italiano non appare concorde al suo interno: mentre resistono delle sacche di bipolaristi convinti, il segretario Alfano potrebbe comunque dire sì a un tavolo, coi paletti delle liste bloccate al 33% e l’espressione di massimo due o tre preferenze.
L’Idv, dal canto suo, pur reticente a scendere a patti con questa maggioranza, propende per l’ indicazione della coalizione e del premier in anticipo rispetto allo svolgimento delle elezioni.
Ci sono, poi, sparsi dentro e fuori le Camere, sostenitori del vecchio maggioritario e altri, invece, che vorrebbero puntare forte sul presidenzialismo alla francese. Le proposte non mancano, per i partiti suona la campanella dell’ultimo giro: se non si troverà un’accordo in tempi brevi, il “Porcellum” sopravviverà.
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