… l’incubo della disperazione di un padre che uccide un figlio per errore torna a ripetersi …
Dal mitologico Licurgo, re della Tracia, che uccise il figlio con la sua stessa ascia dopo averlo scambiato per un tralcio di vite, alla storia di oggi: di quel padre che a Catania, un maledetto 4 luglio 1998, dimenticò il proprio bimbo di 18 mesi in auto, proprio come oggi il padre di Elena – le stesse identiche cinque/sei ore di anticamera della morte fatali per entrambi i bambini -, o di quell’altro padre di Benevento che lo scorso 4 aprile 2011, nel fare manovra con la propria macchina nel cortile di casa, ha investito ed ucciso il proprio figlio di un anno e mezzo.
Morti per sbaglio, morti per errore, morti per dimenticanza, morti per paralisi della mente. Una parte di te che tu stesso, con le tue stesse mani, strappi alla vita….
E nessuno osi ricordi maliziosamente la concidenza di sesso maschile dei protagonisti di queste storie. Solo un velo di pietoso silenzio potrebbe attutire il ricordo di tante madri che, vittime di black out mentali, vanno ben oltre la dimenticanza e si macchiano del sangue della loro violenza sui loro figli.
Il problema è che alla tragedia si accompagna anche l’angoscia di dover dare un volto giuridico a queste condotte.
Perché, diventa giuridicamente corretto e sbagliato tutto ed il contrario di tutto.
Perché, non è possibile che un padre possa volere o prevedere la morte di un figlio.
Perché, non è giusto processuare o condannare un padre che sta già soffrendo oltre ogni limite per la perdita di un figlio di cui lui ha causato la morte.
Perché, non è ammissibile, e non è comunque accettabile, che un padre “sbagli”, o si “distragga”, o “domentichi” un figlio.
Perché, è certo che il nostro diritto non ammette eccezioni per nessuno, e l’imprudenza e la negligenza vanno sempre punite, almeno come fattispecie colposa.
Perché, è un dato di fatto che il nostro sistema penale prevede, pur se in termini eccezionali, alcune situazioni di non punibilità quali la temporanea mancanza di incapacità di intendere e di volere legata a particolari evenienze o a specifici lassi temporali.
Perché è scientificamente spiegabile un temporaneo obnubilamento della mente.
Tutto diventa giusto e sbagliato allo stesso tempo.
E mai, come di fronte a questi fatti, il lavoro di un magistrato finisce per essere dilaniato tra diritto, ragione, pietà umana, dovere di applicazione formale della legge, potere di applicazione concreta delle scriminanti e degli istituti di esclusione della colpevolezza e della punibilità, ragioni del giudice, sentimenti di padre, assunzione di responsabilità nei confronti dei cittadini.
Mai come in questi frangenti diventa impossibile la quadratura del cerchio e l’equilibrio perfetto tra legge ed equità.
Per una volta, bisogna avere il coraggio di dire: “non vorrei mai trovarmi al posto di quel Giudice“.
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