L’ultima frontiera del “tana libera tutti” è il serio, vicino e inquietante crac finanziario di almeno 10 grandi città italiane con più di 50 mila abitanti, tra le quali spiccano Napoli e Palermo (dove pare che non si facciano le pulizie visto che a computer non risulta neppure un euro per spese di questo tipo). No, qui la Lega Nord che chiede di tagliare fisicamente la penisola per liberarla dalle presunte metastasi del Sud non solo non c’entra, ma non avrebbe neppure tutte le ragioni visto che anche Milano e Alessandria, giusto per citare due ‘city’ famose per la loro produttività e il loro rigore, non se la stanno passando affatto bene in quanto a conti economici e stati patrimoniali pubblici.
Ma perché? Cos’è successo? Ci siamo svegliati e il Paese delle Meraviglie si è trasformato di colpo in quello dei debiti? Ci voleva Super Mario Monti e la sua task force di 007 tecnici per ‘nasare’ che una città come Enna forse è un po’ fuori fase se spende 177% e il 366% in più di due eccellenze della raccolta differenziata come Novara e Salerno? Il tempo in cui si cadeva dalle nuvole è (quasi) finito, ma non è che il tutto sia gratificante, anzi. Questo è un bagno di sangue che ha radici talmente lontane da rendere la spending review uno zuccherino dentro un ettolitro di caffè nero bollente. Nel quale ci sono mani e piedi pure Reggio Calabria, già abbonata al rosso dei conti nel 2007-08 e sotto inchiesta ufficiale della Magistratura, mentre Novara è sotto di 100 milioni.
Più che il debito in sé, è la differenza insensata tra le spese delle varie amministrazioni, tra le quali le voci fondamentali sono servizi, consulenze, manutenzioni, utenze telefoniche, luce, cancelleria, affitti, a lasciare quantomeno perplessi gli esperti. Esempio lampante è la disparità tra Milano e Roma sugli incarichi professionali: il Campidoglio deve far fronte a un esborso di 2600 euro ogni 100 abitanti, contro i 465 euro di Palazzo Marino.
Ma non ci si fa mancare niente su scala globale, considerando i dati emanati oggi da Il Sole 24 Ore che la manutenzione di impianti e veicoli nei Comuni di Lucca, Trento, Avellino e Aosta costa mediamente anche 20 volte di più di Salerno, Genova e Matera. Poi c’è Potenza che spende 7500 mila euro (ogni 100 abitanti) per la pulizia degli immobili comunali e nei servizi ausiliari, Macerata e Ascoli Piceno 500, mentre Siena è regina della convegnistica planetaria (3 milioni ogni cento abitanti!!) anche per compensare la pochezza culturale di Ferrara (34 mila euro). Incongruenze al vaglio, appunto, degli investigatori del Governo tecnico, al netto di una sorta di “studio di settore pubblico” che andava fatta molto prima.
Ma non è questa, la nostra fine. La nuova spending review ha ancor più ‘incasinato’ i comuni italici, con la norma sull’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio la quale impone di svalutare del 25% i residui attivi accumulati sin qui. Trattasi di entrate contabilizzate ma non effettivamente incassate (multe, proventi sui rifiuti), che in passato servivano a ‘pareggiare’ i conti – gli enti gonfiavano queste voci pur consapevoli che non si sarebbero mai incassati al 100% – e la cui ‘pratica’ oggi non è più applicabile. Il presidente dell’Anci Graziano Delrio, dopo aver ricordato che la norma è di per sé giusta ma non si può applicare su due piedi, ha lanciato l’allarme che arriva direttamente dai centri nevralgici dei comuni. Secondo il Viminale, negli ultimi due anni hanno dichiarato il dissesto circa 25 amministrazioni contro le 1-2 di media del pre-Monti.
“A 4 mesi dalla chiusura dei bilanci 2012 – spiega Delrio – anche i 500 milioni di tagli ai trasferimenti previsti per quest’anno sono molto pesanti. Rappresentano una quota molto importante dei nostri bilanci e cancellarli così di colpo non solo crea altri problemi di cassa ma sconvolge anche gli obiettivi del patto di stabilità”. Qui di stabile ormai non c’è più nulla. Nemmeno la Cappella Sistina.
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