Martini su eutanasia, accanimento terapeutico, aborto, fecondazione artificiale, embrioni

Fine e saggio teologo, nonchè grande ed appassionato studioso dei testi biblici ( per il cui approfondimento conoscitivo egli aveva scelto il suo momentaneo trasferimento a Gerusalemme), Carlo Maria Martini riuscì al meglio a dare concreta realizzazione ai principi del Concilio Vaticano II attraverso la propria opera pastorale e sociale nell’ambito della Chiesa milanese (della quale come noto è stato Arcivescovo dal 1979 al 2002).

Era divenuto un fermo punto di riferimento non solo per il mondo cattolico, ma anche per quello laico, proprio per la sua capacità nell’ascolto e accoglienza delle ragioni dei “diversamente credenti’’. Ricordo i numerosi incontri della ‘Cattedra dei non credenti’, ovvero quella serie di dialoghi – tenutisi tra il 1987 ed il 2002 – tra il Cardinale ed esponenti vari della cultura laica (Massimo Cacciari, Gustavo Zagrebelsky, e tanti altri).

Ma, per gli studiosi di Bioetica, altrettanto impossibile sarà dimenticare il coraggioso impegno di Carlo Maria Martini nell’affrontare le più spinose problematiche di tale disciplina, con quel coraggio e quell’onestà intellettuale che spesse volte lo hanno portato a seri contrasti con le posizioni più tradizionali della Chiesa cattolica.

Il cardinal Martini su eutanasia e accanimento terapeutico

La coerenza, che da sempre ha caratterizzato i suoi discorsi ed il suo operato, ha avuto ulteriore espressione nell’ultima scelta del Cardinale, comunicata al proprio medico curante, di non venire sottoposto ad accanimento terapeutico (né sotto forma di ventilazione artificiale, nè tramite applicazione di peg, nè tramite altre modalità di alimentazione forzata). Tale posizione sarebbe già stata facilmente intuibile, se si fosse letto l’articolo scritto dallo stesso Martini nell’anno 2007 (dal titolo «Io, Welby e la morte» ), poche settimane dopo il decesso di Piergiorgio Welby: il malato terminale di distrofia muscolare, che chiese la sospensione delle terapie. Analoga posizione era stata ribadita dal Cardinale nel suo ultimo saggio «Credere e conoscere» ( del marzo di quest’anno ), in cui egli sottolineava come: «Le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona».

Queste poche parole sono rimaste, forse, tra le più citate di Carlo Maria Martini. Universalmente interpretate come una critica al “cuore di pietra“ della Chiesa cattolica, la quale aveva negato a Welby la possibilità di ricevere un funerale religioso, esse presentavano con molta chiarezza la posizione del Cardinale circa l’eutanasia e l’accanimento terapeutico.

L’eutanasia, secondo Martini, è “un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte. Come tale è inaccettabile. Diversamente va, invece, considerato il caso dell’accanimento terapeutico, ovvero dell’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo“.

“Interrompendole – scriveva sempre il Cardinale citando il Catechismo – non si intende procurare la morte; si accetta di non poterla impedire“.
E nel decidere se un intervento medico sia da interrompere – proseguiva Martini – non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete – anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite – di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate“.

Martini sollecitava l’elaborazione di una normativa che da una parte consentisse la possibilità del rifiuto delle cure -in quanto ritenute sproporzionate dal paziente-  e dall’altra proteggesse il medico da eventuali accuse, come quella di omicidio del consenziente o di aiuto al suicidio. Questa, in sintesi, la posizione espressa dal Cardinale in materia di eutanasia e di accanimento terapeutico. Ma, per meglio inquadrarla, ci sarebbe utile riandare a quanto egli affermò sullo stesso argomento nel “Dialogo sulla vita”, da lui pubblicato su “L’Espresso” nell’aprile del 2006. Anche in quel suo scritto, Martini sostenne che l’eutanasia “non si può mai approvare”. Ma aggiunse di non condannare “ le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo”. Ed, ancora, il Cardinale affermava che “la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana”.

Molte questioni che riguardano la nascita e la fine della vita – scrisse ancora Martini – sono “zone di frontiera o zone grigie dove non è subito evidente quale sia il vero bene”. Quindi ,“è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni”.

La questione degli embrioni conservati

Secondo l’impostazione bioetica di Carlo Maria Martini, il destino degli embrioni conservati nei laboratori era problema assai serio. Conformemente al punto di vista del Cardinale, la soluzione non poteva e non doveva essere quella di concedere tali embrioni a chi ne avesse necessità (anche qualora tale necessità fosse stata di medici o biologi). In particolare, Martini negava fermamente e con chiarezza la possibilità di un eventuale uso degli embrioni per finalità di ricerca. Pensare, poi, di favorire la vita tramite l’allocazione degli embrioni laddove si trovasse la volontà di procreare in qualsiasi modo, costituiva solo in apparenza una soluzione caritatevole. Tale pratica avrebbe mancato doppiamente alla giustizia: da un lato, nei confronti degli embrioni, i quali sarebbero stati scriteriatamente prodotti in soprannumero e congelati, col pretesto di potere sempre trovare un utero in cui impiantarli; dall’altro, nei confronti degli embrioni portati a maturazione con la finalità di assegnazione a “famiglie” programmaticamente monogenitoriali.

Comunque, di fronte alla minaccia di distruzione di embrioni crioconservati, il Cardinale non esitava a preferire decisamente la loro donazione ad una donna single, nel segno del profondo ed assoluto rispetto cristiano per la vita umana. Del resto, nel caso dell’affidamento degli embrioni a donne single, riteneva che i problemi di più genitorialità in conflitto, eventualmente conseguenti ad una fecondazione eterologa con seme od ovulo esterno alla coppia, si presentassero analoghi a quelli dell’adozione, e perciò assolutamente superabili nel segno vincente dell’amore.

Ma vorrei aggiungere, a proposito di conservazione degli embrioni, come il momento più delicato dell’impostazione bioetica del Card. Martini sia stato, con probabilità, quello relativo all’accettazione del congelamento del cosiddetto pre-embrione.

Con tale termine, si intende l’ovocita allo stadio dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi cromosomici – del padre e della madre – sono ancora separati e non esiste un nuovo DNA autonomo.

Secondo non pochi scienziati e secondo l’impostazione ufficiale della Chiesa cattolica, il congelamento della coppia di pronuclei maschile e femminile risulterebbe equivalente all’interruzione di un processo (ovvero di un iter unicum ), in sé ordinato alla formazione di una nuova individualità umana.

La pratica di crioconservazione si presenterebbe, dunque, assolutamente illecita dal punto di vista morale ( se andiamo a riguardare il punto di vista della Chiesa). Negli ultimi anni non sono pochi, però, gli studiosi di Genetica, i quali, sorprendentemente, preferiscono avallare l’interpretazione di Carlo Maria Martini, secondo la quale il pre-embrione non costituisce assolutamente un individuo umano, in quanto non ancora titolare di un DNA proprio. Di esso sarebbe dunque moralmente lecito servirsi, dopo opportuna crioconservazione, anche per svariate forme di sperimentazione.

L’aborto

La verità è che le leggi sull’aborto anzitutto proteggono, medicalmente e giuridicamente, la donna che decide di abortire. Cosicchè, suona qui assai eufemistica ed inesatta l’affermazione che lo Stato si limiti a ritenere “non conveniente perseguire penalmente” l’aborto. La legislazione, in realtà, dichiara pienamente legale, entro certi limiti di tempo, la pratica abortiva. Anzi: per molti, lo Stato sancirebbe positivamente un vero e proprio “diritto all’aborto”.

Il Cardinale Martini parlava, anch’egli con un notevole eufemismo, di “una certa cooperazione delle strutture pubbliche all’aborto”. Deprecando tale pratica (assolutamente contraria all’antropologia cristiana ), egli stesso confessava, però, di non sapere opporle soluzioni concrete.

La fecondazione artificiale eterologa

Si ha fecondazione artificiale eterologa (sia che essa avvenga in provetta, sia che si concretizzi, invece, all’interno del corpo materno ) qualora almeno uno dei gameti (ovulo oppure spermatozoo) provenga da un donatore esterno rispetto alla coppia. Per motivi sui quali è impossibile soffermarsi in questa sede, la Chiesa cattolica si dichiara da sempre e totalmente contraria a tale tipologia di filiazione. Basti qui accennare al fatto che la fecondazione artificiale, per il fatto di portare ad un concepimento senza la copula tra coniugi, rappresenterebbe un’illecita mortificazione dell’atto sessuale, offuscandone il legame tra dimensione unitiva e procreativa. In più, la morale cattolica addita, nella fecondazione eterologa, una concreta minaccia all’unità naturale della famiglia. Carlo Maria Martini, viceversa, poneva sullo stesso piano la fecondazione eterologa, con seme od ovulo esterno alla coppia, e le varie forme di adozione. Sosteneva che il fatto che un bambino venga affidato a genitori non suoi, e con essi instauri un buon rapporto affettivo, non escluda a priori l’ammissibilità della fecondazione eterologa.

E qui vorrei concludere il mio scritto, evidenziando come, nella stessa gerarchia della Chiesa, v’è chi ha visto, in Martini, il profeta. Luigi Bettazzi, uno dei Vescovi che parteciparono al Concilio Vaticano II, giustamente affermò: “Martini sa che è venuto il tempo giusto per dire le cose che ha detto … Oggi, la dottrina ufficiale della Chiesa mette al primo posto l’amore. Per la bioetica sarà lo stesso. Martini ha aperto la strada, ed il cambiamento verrà. Il clero ed il popolo cristiano sono già con lui. Da lui imparano come coniugare la fede alla vita concreta”.

Antonio Ruggeri

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