Il governo della Rete dopo Dubai

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Circa un mese fa, dal 3 al 14 dicembre 2012, si è svolta a Dubai la Conferenza globale dell’Internetional Telecommunication Union, nell’ambito della quale si è discusso del governo mondiale di Internet, ossia della legittimazione dell’attuale sistema di assegnazione degli indirizzi IP e dei nomi a dominio, attraverso cui si controlla lo sviluppo della Rete nel Pianeta.

L’ITU, creata nel 1865, oggi è un’organizzazione legata all’ONU, a cui aderiscono 193 paesi. Essa però non si occupa direttamente del governo della Rete, e non ha alcuna competenza formale in merito. Come è noto, è l’ICANN (Internet Corporation for assigned Names and Numbers) il principale organismo di vertice di Internet, a capo di cui vi è un Board of directors, composto da 21 membri di cui 16 votanti, che può essere considerato in qualche modo il “consiglio dei ministri” della Rete.

Proprio la natura e il ruolo dell’ICANN sono stati oggetto di discussione nel vertice. A Dubai infatti sono emerse in modo chiaro e definitivo le posizioni di alcuni Paesi che già da diversi anni manifestavano una forte contrarietà circa il modo in cui oggi è organizzata la governance di Internet, e tali stati si sono coalizzati nel chiedere una radicale riorganizzazione del sistema. I paesi-guida portatori di questa posizione sono stati in particolare la Cina, il Sudan, l’Algeria, l’Arabia Saudita e la Russia.

Si tratta, come si vede, di quei Paesi che finora si sono distinti per avere posto ampie limitazioni al libero accesso alla Rete nei loro territori (i così detti “Internet black holes”). Occorre però osservare che all’origine di questa contrapposizione vi è anche un problema oggettivo, dato dalla natura giuridica ibrida dell’ICANN. Quest’ultima infatti è costituita come organizzazione no-profit di diritto privato, e sul piano strettamente formale la composizione del Board of Directors è ottenuta attraverso meccanismi atti a garantire la sua internazionalizzazione; effettivamente, da questo punto di vista, è sufficiente visionare la composizione attuale del Board per rendersi conto che vi sono rappresentati tutti i continenti, seppur non in modo paritetico. Tuttavia, sul piano sostanziale, l’ICANN mantiene legami decisamente forti con il Governo degli Stati Uniti, per diverse ragioni. Anzitutto, essa ha da sempre (da quando è stata creata nel 1998) un contratto di consulenza con il Dipartimento del Commercio di Washington, che dunque è la sua principale fonte di finanziamento (l’amministrazione Obama ha in parte attenuato la portata vincolante di questo rapporto, ma nello stesso tempo lo ha confermato). In secondo luogo, l’ICANN risiede negli USA, e dunque risponde in primis al diritto americano. Infine, seppure si trovi in fase di internazionalizzazione, essa è comunque, storicamente e culturalmente, un organismo nato nel contesto della Rete statunitense e opera in continuità con il suo ente-predecessore, la IANA, un apparato totalmente interno all’amministrazione degli Stati Uniti. Da questi fattori, principalmente, deriva un deciso condizionamento del governo degli USA sull’azione dell’ICANN.

Attorno a queste considerazioni, al vertice di Dubai si sono dunque creati due blocchi contrapposti. Da una parte, una larga componente degli stati asiatici, mediorientali e africani, che chiedevano la totale emancipazione della gestione di Internet dal governo USA e il suo passaggio presso un organismo legato all’ONU, possibilmente alla stessa ITU, reclamando nel contempo una maggiore autonomia di gestione interna della Rete da parte dei singoli governi. Sull’altro versante, l’area occidentale, quindi, oltre agli Usa, in prima linea il Canada, il Regno Unito, la Danimarca, la Finlandia e l’Italia, a cui si è aggiunta l’India – e a cui hanno dato l’appoggio Google Inc. e il Web Consortium – i quali chiedevano il mantenimento dello status quo, sulla base dell’argomentazione che la gestione USA-ICANN ha effettivamente garantito uno sviluppo libero e universale della Rete, e che, viceversa, i Paesi che propongono la cessazione di questo sistema avrebbero il reale scopo di acquisire l’autonomia necessaria per accentuare le restrizioni nell’accesso ad Internet da parte dei propri abitanti.

La posizione inflessibile di entrambi i blocchi ha portato all’impossibilità di una conciliazione e della firma di un trattato condiviso da tutti; di conseguenza, l’esito della conferenza è stato il mantenimento dell’assetto attuale. L’ICANN, quindi, continuerà ad essere l’organismo di vertice di Internet.

In ogni caso, il consesso di Dubai ha portato ad alcune conseguenze implicite importanti sulla governance globale della Rete.

In primo luogo, è interessante che sia emerso un sostanziale allineamento dell’Unione Europea sulla posizione degli Stati Uniti. Ciò non era scontato se si pensa che, finora, prevaleva invece un chiaro scetticismo europeo sulla gestione ICANN, peraltro alimentato dalla condotta degli USA, che qualche anno fa avevano opposto decisa resistenza sulla procedura di registrazione del dominio di primo livello “.eu”, che interpretavano come un messaggio di coesione politico-economica del nostro Continente. L’emergere di un “nemico comune” sembra quindi aver attenuato questa conflittualità euro-americana.

In secondo luogo, la gestione della Rete ICANN-centrica, nonostante la conferma delle criticità, si è rivelata effettivamente, una fonte di garanzie. Come abbiamo visto, infatti, a Dubai è emersa non solo la pretesa di auto-gestione della rete (che ovviamente era già nota) da parte di paesi non democratici, ma è apparsa evidente anche la tendenza a coalizzarsi in un blocco unico, che deve essere effettivamente arginata, e in relazione a ciò il sistema-ICANN, pur con grandi difetti, si è mostrato finora capace di reggere a simili pressioni.

Infine, è emerso che il sistema dell’ICANN va certamente, comunque, riformato al suo interno. Non nel senso di cedere alle richieste dei paesi che ne chiedono la dismissione e il depotenziamento, ma sicuramente nella direzione di una internazionalizzazione che sia meno formale e più sostanziale, e ciò certamente andrebbe anche a vantaggio dei Paesi dell’Unione Europea e delle altre democrazie mondiali.

Daniele Marongiu

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