Tre amici al bar che parlano di crisi economica: l’Italia deve uscire dall’Europa?

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Al bar si parlava di soldi quel giovedì mattina. Il caffè era aumentato di dieci centesimi e i due medici si lamentavano che invece il loro stipendio pubblico era diminuito perché l’azienda sanitaria per risparmiare aveva tolto loro alcune indennità. A me invece lo Stato aveva bloccato l’aumento ISTAT della pensione legato all’inflazione, pensavo tra me, ma non dissi nulla. Ormai l’Europa era il continente più impoverito del globo e noi i più impoveriti d’Europa, e ancora non avevamo toccato il fondo. Tutta colpa dell’euro, disse un medico. Tutta colpa degli USA, della Cina e della Germania, disse l’altro. La Germania si serviva dell’Europa per fare accordi commerciali privilegiati con Cina e USA. Cina e USA giocavano sulla svalutazione strisciante dello yuan e del dollaro sull’euro per favorire le loro esportazioni e ridurre le importazioni europee, mentre la Banca Centrale Europea colpevolmente non usava la politica dei cambi. Come nei tempi passati aveva fatto l’Italia con la costante svalutazione della lira per tenere in piedi la propria industria manifatturiera. Ergo: l’Italia deve uscire dall’euro e tornare nazione libera e indipendente se vuole salvarsi. Mi aspettavo la reazione immediata del professore di filosofia che sapevo europeista convinto. Ma non fu così. Evidentemente gli ultimi avvenimenti avevano indotto in lui nuove riflessioni. Se le differenze fra gli stati europei, a svantaggio di quelle del sud, continueranno ad accrescersi, come sembra, l’Europa non reggerà. Non possono stare insieme nazioni così diverse per storia, per struttura amministrativa, economica, sociale. Il parto è stato affrettato e la creatura è nata deforme con un corpo troppo grosso (il nord) su gambe troppo esili (il sud) ,ove il nord nulla è disposto a concedere al sud in termini di indebitamento e di investimenti per colmare le differenze. Con un altro rischio per i paesi deboli come l’Italia, quello davanti a tante difficoltà di vedere sfilacciarsi il proprio tessuto sociale e civile e di dissolvere impercettibilmente la propria identità nazionale. Così concluse il professore e allora io presi la parola. Secondo me per restare in Europa, dissi, dobbiamo essere più nazione, ci vuole più Italia e meno regionalismi e provincialismi, con una sovrapposizione di organi e competenze che negli ultimi anni hanno reso l’amministrazione pubblica sempre più costosa e inefficiente. A questo punto l’altoparlante della stazione ,che era in ascolto, partecipò alla nostra conversazione per convalidare la mia tesi e recitò così. Il treno locale Rimini-Piacenza delle ore 8 è in ritardo di 70 minuti, la responsabilità del disguido non è da addebitare direttamente alle ferrovie dello Stato ma alla Regione che ha richiesto i nuovi orari e alle aziende appaltatrici che garantiscono la funzionalità dei treni. Restammo in silenzio e ordinammo di nuovo il caffè che era aumentato di prezzo.

Francesco Ciotti

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