Falsi incidenti a Napoli: e la Banca dati sinistri che ci sta a fare?

Massimo Quezel 27/10/18
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È notizia di questi giorni la scoperta di una organizzazione, operativa in Campania, composta da avvocati, consulenti e falsi testimoni, che avrebbe architettato una frode alle assicurazioni denunciando, solo nell’ultimo anno, almeno 2.800 finti incidenti, ma i numeri potrebbero addirittura essere quattro volte superiori. Ben 18 gli avvocati già agli arresti domiciliari, e un totale di 50 persone destinatarie di misure cautelari.

Una vicenda che ha dell’incredibile, perché, contrariamente a quanto voglia farci credere la stampa, che ci descrive la scaltrezza degli “007” delle compagnie, che avrebbero smascherato un sistema truffaldino arguto e subdolo, non stiamo parlando di chissà quale abile macchinazione. A ben vedere, si tratta di una truffa realizzata sotto gli occhi di tutti, dell’IVASS e delle compagnie, in primis.

Già, perché in base a quanto ci descrive la cronaca locale, le richieste di risarcimento erano tutte riguardanti soli danni materiali, per un importo sempre fisso di 3.035 euro e 33 centesimi (!), e a sostegno delle pretese risarcitorie vi erano le dichiarazioni fornite, a rotazione, da finti testimoni organizzati, coordinati e prezzolati da un’agenzia locale, il cui titolare, secondo il gip, avrebbe presentato almeno 117 richieste di risarcimento in qualità di danneggiato. Gli assegni di risarcimento, inoltre, venivano tutti incassati a Malta, da dove sembra venisse poi gestito un giro di riciclaggio che portava i soldi direttamente nelle tasche degli organizzatori della truffa.

Eppure, già due anni fa parlavamo proprio in queste pagine dell’esistenza dell‘Archivio Informatico Antifrode e della Banca Dati Sinistri, che ha l’unica finalità (e sono parole dell’IVASS) “di agevolare la prevenzione e il contrasto di comportamenti fraudolenti nel settore della RC Auto obbligatoria”. Un sistema di verifica che permette di avere una stima del livello di “rischio frode” di un sinistro, eseguendo un controllo sui cosiddetti “parametri di significatività”, ottenibili verificando i nomi dei danneggiati, dei testimoni, degli avvocati o patrocinatori coinvolti, e molti altre variabili che le compagnie stesse “dovrebbero” inserire volta per volta, ad ogni sinistro gestito. IVASS e ANIA, all’epoca, commentavano trionfalmente il nuovo “cervellone” annunciando finalmente tempi duri per i furbetti.

E allora, vogliamo forse credere che una truffa come quella scoperta in questi giorni a Napoli, dove i protagonisti sono sempre gli stessi, gli importi risarciti i medesimi, testimoni “ciclici” è riuscita a passare lo scrupoloso vaglio di questi sofisticatissimi ed efficientissimi sistemi di verifica?

Delle due l’una. O l’Archivio Informativo Antifrode e la Banca Dati Sinistri tanto efficaci, alla fin fine, non lo sono proprio, oppure le compagnie non sanno usare questi strumenti e non hanno avuto l’attenzione di verificare chi e cosa stavano pagando.

In definitiva, abbiamo una organizzazione criminale (e non è la prima) che ha messo in piedi un sgangherata truffa ai danni delle assicurazioni sfruttando il generale lassismo delle compagnie sul fronte della lotta alle frodi. Questa è la vera notizia. Le assicurazioni avrebbero sicuramente potuto bloccare questo fenomeno prima che assumesse tali dimensioni colossali, se solo i sistemi di prevenzione e verifica, già esistenti e tecnicamente funzionanti, venissero usati a dovere.

Eppure, negli articoli che oggi commentano il caso di Napoli, leggiamo che mancherebbe una banca dati ufficiale che permetta un controllo fin dalle prime fasi dei procedimenti, e che pertanto le “povere” compagnie sono costrette a redigere a mano degli elenchi di autotutela.

Non serve l’intelligence della CIA o i fantomatici 007 delle assicurazioni per scoprire casi come questi. Basterebbe sfruttare i sistemi che già ci sono. Ma questo le compagnie non lo voglion fare. Perché?

Massimo Quezel

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