La normativa elettorale del Porcellum ha reintrodotto in Italia il sistema proporzionale, cancellando di fatto i collegi uninominali, esistenti con l’assetto antecedente, in prevalenza maggioritario.
Alla base del sistema elettorale, il principio delle liste bloccate, che ha escluso dalle procedure di espressione del voto la possibilità di indicare la preferenza per uno o più candidati, i quali rimangono, in questo modo, appannaggio delle segreterie di partito, o delle primarie interne, laddove si sia scelto di realizzarle.
Si tratta, in realtà, di un proporzionale “impuro”, nel senso che introduce il principio dei seggi ai singoli partiti, favorendo, però, il raggruppamento di questi ultimi in coalizioni. Per questa ragione, le liste alleate devono presentare un comune capo della coalizione, il cui nome, spesso appare su uno dei simboli presenti sulla scheda.
Inoltre, sono presenti, nell’impianto della legge 270, alcune percentuali minime per la distribuzione dei seggi in Parlamento, denominate soglie di sbarramento, che differiscono a seconda del ramo parlamentare, della coalizione nella sua interezza, del partito coalizzato o, in alternativa, della lista in corsa solitaria.
A questo proposito, per guadagnare almeno un seggio alla Camera dei deputati è necessario che, su scala nazionale, ciascuna lista superi il 4% se da sola, il 2% se collegata ad altre in una coalizione in grado di raccogliere non meno del 10% dei consensi totali.
Al Senato, invece, la soglia è raddoppiata: il minimo dei voti da ottenere è pari all’8%, con le coalizioni che devono superare il 20%, mentre i partiti che le compongono possono accontentarsi del 3%.
Come noto, infatti, la Camera viene sottoposta a una ripartizione dei seggi su base nazionale, mentre il Senato, che risente dello spirito “federalista”del periodo in cui è stato varato il Porcellum, vede ripartiti i propri scranni sui voti ottenuti da partiti e coalizioni nelle singole regioni.
A questo proposito, a palazzo Madama, i seggi verranno ripartiti in modo tale per cui, chi otterrà la maggioranza in ogni regione, farà scattare il premio di maggioranza regionale, corrispondente a non meno del 55% dei seggi che essa attribuisce, con l’eslcusione del Molise (2 seggi) e dei posti riservati agli eletti all’estero (6, di cui 2 in Europa, 2 in America del Sud, 1 in America del Nord, 1 per Africa, Asia e Oceania).
La quota minima del 55%, si nota, assegnerà quantomeno 3 seggi su 22 in Piemonte, 27 su 49 in Lombardia, 14 su 24 in Veneto, 4 su 7 in Friuli-Venezia Giulia, 5 su 8 in Liguria, 13 su 22 in Emilia-Romagna, 10 su 18 in Toscana, 4 su 7 in Umbria, 5 su 8 nelle Marche, 16 su 28 nel Lazio, 4 su 7 in Abruzzo, 16 su 29 in Campania, 11 su 20 in Puglia, 4 su 7 in Basilicata, 6 su 10 in Calabria, 14 su 25 in Sicilia, 5 su 8 in Sardegna.
Discorso a parte per Val d’Aosta (1 seggio) e Trentino-Alto Adige (6 seggi su 7 uninominali), sottoposte alla tutela delle minoranze linguistiche di ispirazione al testo costituzionale.
Alla Camera, invece, l’occupazione dei seggi avverrà esclusivamente in base ai risultati nazionali, con 340 seggi su 618 (55%) che saranno assegnati d’ufficio alla coalizione che raccoglierà il maggior numero di consensi, grazie al premio di maggioranza nazionale, con esclusione, anche qui, dei voti espressi all’estero (12 di cui 6 in Europa, 3 in America del Sud, 2 in America del nord, 1 in Asia, Africa, Oceania) e di quelli della Val d’Aosta (1 seggio).
Vai al testo in vigore della legge 270/2005
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