Donald Trump e l’impeachment: che cos’è il blind trust?

Luigi Nastri 02/12/16
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In seguito all’esito delle recenti elezioni americane l’opinione pubblica si è iniziata a interrogare sul potenziale conflitto d’interessi in cui potrà trovarsi il nuovo presidente Donald Trump.

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Posto che, in base a quanto emerge dalla stampa, negli Stati Uniti le leggi sul conflitto di interessi non si applicano al Presidente ma solo ai componenti di governo, è tradizione bipartisan seguirle ugualmente.

La soluzione giuridica del c.d. blind trust: cos’è?

La soluzione giuridica proposta è quella del c.d. blind trust letteralmente “fiducia cieca”: il meccanismo consiste nel compimento di una atto che avrebbe come effetto quello di separare le aziende di Trump dal suo restante patrimonio affidandole in gestione ad un soggetto terzo ovvero non ai figli (come anche si è detto) e i cui affari sarebbero così per Trump ciechi, ignoti.

Tale questione crea il presupposto per parlare dell’istituto del trust in particolare con riguardo alle sue problematiche applicative in Italia.

L’istituto del trust

Il trust è un istituto nato nei paesi di Common Law con il quale un soggetto (disponente o settlor) pone propri beni sotto il controllo di un gestore (trustee) nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico.

Al trustee viene quindi affidata la gestione e l’amministrazione dei beni i quali per tale ragione devono essere a lui intestati. Tuttavia ciò non significa necessariamente che il trustee diventi proprietario dei beni: l’effetto tipico del trust è quello della c.d. segregazione patrimoniale nel senso che da una parte i beni oggetto del trust sono separati dal patrimonio del disponente e non aggredibili dai suoi creditori; dall’altra sono separati anche dal patrimonio del trustee poiché non rispondono dei debiti contratti per finalità estranee a quelle per le quali il trust è stato istituito (ad es. i debiti personali del gestore).

A chi appartengono dunque i beni conferiti in trust?

Normalmente al trustee oggetto di un patrimonio separato.

Secondo alcuni studiosi invece occorrerebbe attribuire soggettività giuridica al trust entificando i beni. Tale prospettiva potrebbe trovare conferma nella legge 112/2016 (c.d. legge dopo di noi) quando all’art. 6 co. 6 parla di beni e diritti “in favore dei trust” anche se occorrerà attendere che la giurisprudenza si pronunci.

Secondo una diversa tesi invece i beni potrebbero restare di proprietà dello stesso disponente il quale risulterebbe così titolare di due patrimoni separati. Tale tesi troverebbe conferma nel recente art. 2929 bis c.c., che nello statuire “quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione”, indirettamente conferma che il trust non comporta necessariamente il trasferimento dei beni al trustee.

Che sia discutibile che i beni conferiti in trust passino necessariamente in proprietà del trustee è dimostrato anche dal fatto che in caso di morte di quest’ultimo i beni non cadono nella sua successione (art. 11 co 2 lett. c) della Convenzione dell’Aja).

Da un punto di vista della struttura dell’atto istitutivo del trust si tratta in genere di un contratto tra il costituente ed il gestore, ma seguendo l’ultima impostazione potrebbe anche disporsi per atto unilaterale nel caso in cui settlor e trustee coincidano.

Quanto al termine secondo alcuni studi occorre essere prudenti circa l’applicabilità dell’art. 2645 ter c.c. al trust: se si ritiene che il limite massimo di 90 anni costituisce norma imperativa allora a tale limite temporale dovrà essere sottoposto anche il trust.

Quale problema pone il trust?

Il principale problema che pone il trust è l’effetto segragativo poiché potrebbe essere posto in essere per frodare i creditori del disponente il cui credito sia precedente all’istituzione del trust.

Posto che la giurisprudenza ha ammesso la possibilità per questi ultimi di esercitare azione revocatoria (laddove ce ne siano i presupposti), la tutela dei creditori è un problema che si è provato a risolvere con l’introduzione nel 2015 dell’art. 2929 bis c.c., il quale prevede la possibilità per il ceditore personale del settlor di procedere ad esecuzione forzata nel caso di beni conferiti in trust a titolo gratuito, anche senza aver esperito vittoriosamente l’azione revocatoria, purchè sia munito di titolo esecutivo e trascriva il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto istitutivo del “vincolo di indisponibilità”.

In merito all’interesse per il quale il trust può essere istituito, la tutela dei creditori costituisce uno dei principali problemi per l’ammissibilità dei trust miranti a soddisfare un interesse del disponente.

Quindi per quali finalità si possono istituire trusts?

Tale istituto nasce sicuramente per garantire la “protezione patrimoniale” al settlor il quale mediante il trust intende mettere al riparo dai creditori alcuni beni al fine di fronteggiare esigenze future ed incerte o soddisfare le necessità di beneficiari non in grado di provvedere a sé stessi (si pensi al genitore che conferisce beni in trust funzionali ai bisogni di un figlio disabile). In tale ottica la legge sul dopo di noi conferma questa natura “assistenziale” del trust.

Tuttavia sia l’art. 2929 bis c.c. che tutela i creditori frodati da un vincolo di indisponibilità sui beni, sia l’art. 2645 ter c.c. che parla della possibilità di destinare beni alla realizzazione di qualunque interesse purchè meritevole di tutela, aprono la strada al disponente per conferire beni in trust anche al fine di soddisfare interessi personali (c.d. autodestinazione) nei limiti dell’art. 1322 c.c..

Il trust italiano

Il trust anche interno (ovvero quello regolato dalla legge italiana) va ormai ritenuto ammissibile, nonostante qualche pronuncia recente della giurisprudenza di merito in senso contrario (Trib. di Udine 28 febbraio 2015), in considerazione delle molteplici norme anche in materia fiscale che disciplinano il trust.

Nonostante l’importante arricchimento delle regole di disciplina dei trusts interni che la legge per il dopo di noi dà, si è ancora lontano dai molteplici aspetti che prevede l’art. 8 della Convenzione dell’Aja i quali potrebbero essere colmati dall’autonomia privata nei limiti dell’art. 1322 c.c..

Tornando al caso Trump…

In forza delle considerazioni appena fatte, occorre evidenziare che se la questione fosse accaduta in Italia, la soluzione non dovrebbe rintracciarsi nell’individuazione di un gestore indipendente.

Il conflitto di interessi infatti non dipende tanto dal fatto che i beni siano gestiti dai figli quanto dal fatto che il presidente debba essere totalmente estraneo a questa gestione: ovvero non deve avvalersi dei relativi profitti e possibilmente non dovrebbe neanche conoscere le sorti del suo business. Di conseguenza il conflitto potrebbe forse evitarsi se i beni conferiti in trust siano gestiti nell’interesse di beneficiari diversi da Trump (e dai suoi familiari) ovvero escludendo l’uso di un trust di autodestinazione.

 

Luigi Nastri

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