Disastro carceri italiane. Napolitano: “una vergogna per l’Italia”

Letizia Pieri 07/02/13
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha visitato ieri il carcere di San Vittore, istituzione-simbolo del degrado penitenziario italiano. Nel corso della visita istituzionale al sesto raggio, dalla nomea negativamente più nota, il Capo di Stato non si è precluso nulla, incontrando faccia a faccia i detenuti, il personale, gli agenti e i volontari; perlustrando i corridoi, i servizi igienici e soprattutto le celle da dove sbucavano, protese, le tante mani di chi da tempo non vede più alcuna luce in segno di deferenza e invocazione.

Già pronunciando il discorso di fine anno 2011, Napolitano aveva menzionato l’urgenza del problema ‘detenzioni’ per l’agenda politica nazionale; nella giornata di ieri il Presidente, tornando sull’argomento, ha sentenziato «Nessuna parte vorrà negare gravità ed emergenza della questione carceraria».

Le ragioni poste alla base dell’ispezione a San Vittore rimandano alla vergognosa gravità situazionale in cui, ancora ad oggi, versano le carceri nazionali, il cui sovraffollamento (quasi 66 mila detenuti per 47 mila posti) ne rappresenta soltanto una riduttiva porzione. Il disappunto espresso con cordoglio dal Presidente Napolitano riflette appieno la tragica dimensione penitenziaria già messa in luce dalla sentenza dello scorso 29 gennaio 2013 della Corte europea dei diritti umani, la quale ha ribadito la severa condanna nei confronti del nostro Paese  per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea che proibisce trattamenti disumani e degradanti.

I casi in questione sono tanti, troppi: si ricordi la vicenda di Bruno Cirillo, detenuto presso il penitenziario di Foggia, la cui progressiva paralisi fisica, richiedendo costanti e specifiche terapie riabilitative, non ha mai incontrato degna attenzione nonostante la sollecitazione avanzata per ben due volte all’amministrazione penitenziaria dal magistrato di sorveglianza preposto; ancora, i trattamenti impietosi che sono stati riservati a 7 carcerati rinchiusi negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza.

La «mortificante sentenza» della Corte europea è fondata, ribadisce con parole che suonano amare il Presidente della Repubblica, entrando «in gioco il prestigio e l’onore dell’Italia». Una costatazione che emerge chiaramente, è la reiterata incapacità dell’intera classe politica italiana di porre rimedio allo scandaloso sovraffollamento carcerario e, di conseguenza, alla complessiva situazione di disagio in cui versano i detenuti oggi.

La Corte europea, in proposito, ha fermamente ammonito l’Italia, affermando come le disfunzioni prodotte dal sovraffollamento non siano adducibili quali giustificazioni per scagionare i numerosi esempi di violazione dei diritti umani. All’esterno del penitenziario, il Capo dello Stato, incontrando un presidio del partito Radicale guidato dall’europarlamentare Marco Cappato, di fronte ad un’eventuale proposta di amnistia, si pronuncia favorevolmente: «Se mi fosse toccato mettere una firma lo avrei fatto non una ma dieci volte», rimarcando tuttavia la necessaria votazione del Parlamento. «La cosa a cui non mi posso arrendere – ha proseguito – è che si dica: o l’amnistia o nulla».

Occorrono provvedimenti anche di altra natura e Napolitano si impegna a mantenere alto il suo dovere da parlamentare. Il capo dello Stato ha aggiunto che l’amnistia «non è il provvedimento di grazia che io posso fare, questi sono i limiti di un Presidente in un sistema non presidenziale- che però aggiunge- nemmeno io vorrei».

Resta fermo il punto che profila una congiuntura nazionale disastrata dal punto di vista della gestione penitenziaria; il San Vittore di Milano, con i suoi 1.600 detenuti a fronte di una capacità accogliente di  800 posti, è soltanto uno degli agglomerati carcerari che oggi riflettono una situazione ai limiti della decenza. Più del 50% dei detenuti presenti nel suolo italiano ha nazionalità straniera e molti (circa il 30%) sono reclusi per reati minori legati agli stupefacenti, in fede alla normativa sulla droga (purtroppo) ancora vigente.

La delusione mista a impotenza del Presidente si estende agli oltre 65 mila detenuti a livello nazionale:  «La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell’articolo 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità», ha scandito nel suo accorato discorso dentro l’istituto milanese.

Il Capo dello Stato ha riconosciuto amaramente come i rispettivi richiami volti a cambiare lo stato delle cose, siano caduti nel vuoto. Per questo motivo fa appello al futuro prossimo: «Il tema delle carceri, del loro estremo sovraffollamento, deve essere valutato da qualsiasi parte politica con serenità, senza pregiudiziali liquidatorie», ha anticipato. «E’ una questione che deve essere ben presente a tutte le forze politiche e anche ai cittadini-elettori nel momento in cui il nostro popolo è chiamato a eleggere un nuovo Parlamento». Sull’argomento, nella giornata trascorsa, si sono succeduti anche gli interventi dell’attuale premier Mario Monti e di Sandro Favi, responsabile nazionale Carceri del Pd.

«La coscienza degli italiani si deve rendere conto che ci vogliono misure straordinarie per affrontare il tema delle carceri (…) perché credo sia uno dei problemi più gravi dell’Italia», ha confermato il professore durante un comizio. Favi, invece, ha sottolineato alcuni punti focali inseriti, al riguardo, nel programma del suo partito: si tratta di «una serie di puntuali interventi, da adottare con l’urgenza dei primi 100 giorni, per abrogare e correggere le leggi che più concorrono agli alti indici di incarcerazione, agli ingiustificati inasprimenti delle pene e alle preclusioni all’accesso alle misure alternative».

La sola voce fuori dal coro è quella della Lega, che con Matteo Salvini, segretario Lega-Nord lombarda, paventa ogni ipotesi di amnistia: «Amnistia, indulto o scarcerazioni di massa sono un insulto alla gente per bene, che nemmeno Napolitano può permettersi. Si lavori piuttosto per rimandare a casa loro tutti i carcerati stranieri, che ci costano milioni di euro».

Il Presidente della Repubblica ha proseguito la sua visita pomeridiana all’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, dove ha tenuto una lezione inaugurale su «L’Italia e la politica internazionale», in occasione della celebrazione per gli ottant’anni di attività dell’Istituto fondato nel 1934 da Leopoldo Pirelli. Nella sua prolusione Napolitano afferma la necessità di fortificare l’Unione Europea andando verso una maggiore unione politica, strumento imprescindibile per affrontare con successo la crisi.

Fulcro dell’intero intervento diventa, per il Capo dello Stato, «l’accresciuta volontà di procedere in tutte le direzioni individuate dalle istituzioni europee per rafforzare, completandola, l’Unione Economica Monetaria e imprimerle una nuova capacità di promozione dello sviluppo economico e sociale dell’Europa». Dal Presidente giunge anche l’appello a «non escludere di aprirsi ancora oltre gli attuali confini dell’Unione, verso i Balcani» avvalorando come sia «essenziale che l’Europa metta insieme le sue risorse e le sue strutture per la difesa e la sicurezza, elevando grazie a un’effettiva integrazione la produttività della sua spesa militare».

Al fine di intervenire positivamente sul fronte della sicurezza interna, e nello specifico per riacquisire credibilità internazionale nei rapporti con le istituzioni europee, il tema che si ripresenta con urgenza nell’agenda politica imminente è quello carcerario. Il funzionamento di una società civile viene a dipendere in larga parte dalla capacità che la stessa dimostra nel fronteggiare la previsione delle misure sanzionatorie e penalmente restrittive.  «Se un uomo viene messo nelle giuste condizioni può cambiare», hanno ammesso ieri i due detenuti Francesco Fusano e Marie Helene Ponge dinanzi il Presidente Napolitano.

L’istituzione carceraria, come previsto dalla nostra Costituzione, risponde primariamente all’obiettivo di rieducare e reinserire socialmente i soggetti condannati; insegnare a vivere civilmente, secondo morale e legalità, diventa un’incombenza impossibile da compiere se non sostenuta, essa stessa, da un’aspettativa trattamentale tangibilmente rispettosa dei diritti fondamentali.

Il nostro Paese necessita di cambiamenti normativi radicali per poter flessibilmente prevedere pene alternative alla carcerazione in caso di reati minori, per predisporre strumenti dotati di maggiore valenza educativa, e soprattutto per innescare il coinvolgimento della società e delle imprese. Come riabilitare i detenuti in ‘esseri umani migliori’ se non viene rispettata la dignità?

Letizia Pieri

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