La Commissione ha rilevato troppe incongruenze rispetto all’attuale legislazione, è emersa chiara la necessità di dover spostare prima gli assunti e certamente questo dietrofront allontana ulteriormente il concorso per stabilizzare i precari “statali”, non solo ma rimanda ulteriormente l’ipotesi di percentuale di posti riservati a chi ha già prestato servizio a tempo determinato presso la Pubblica amministrazione.
Giovedì 20 è arrivata dunque la risposta negativa della commissione Lavoro del Senato, che ha approvato col voto di tutti i partiti della maggioranza e con l’astensione del Movimento 5 stelle il parere contro il decreto Salva-precari. Il parere, solamente a livello apparente, è “favorevole”, ma in realtà chiede formalmente che il provvedimento venga modificato “secondo le osservazioni e indicazioni sopra esposte”.
La prima obiezione che è stata mossa, sussiste nel fatto che esiste una contraddizione tra le sanzioni ai dirigenti che ricorrono a nuovi contratti a termine, previste dalla legge, e la disposizione del decreto che prevede la rinnovabilità dei contratti in corso fino al 2015.
La seconda obiezione, ed è quella ancora più forte, ha a che vedere con la riserva del 50% prevista nei concorsi pubblici, cosa che comporterebbe “l’affievolimento del principio costituzionale” che nella pubblica amministrazione si entra per concorso e il “depotenziamento” delle norme sulla mobilità dei dipendenti pubblici: i posti vacanti andrebbero coperti con lo spostamento del personale interno, nessuno può assumere nuovi dipendenti senza verificare che la mobilità, e cioè lo spostamento di personale già assunto, supplisca al bisogno di personale.
Il decreto, praticamente, è da riscrivere: la corsia preferenziale che avrebbe consentito l’ingresso ai precari nella metà dei posti disponibili nel pubblico impiego è stata smontata: dunque, a questo punto, sorge spontaneo l’interrogativo su che fine faranno i precari nella Pa visto, concedeteci il gioco di parole, la precarietà della situazione.
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